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 2018  febbraio 16 Venerdì calendario

APPUNTI SUI SONDAGGI PER GAZZETTA

IL POST –

Oggi è l’ultimo giorno in cui si possono pubblicare e diffondere i risultati dei sondaggi politici in vista delle elezioni del prossimo 4 marzo: dalla mezzanotte di oggi la loro diffusione sarà vietata per via di una delle norme più discusse e criticate di una legge molto discussa e criticata, quella sulla “par condicio”. Per questo oggi quasi tutte le società di rilevazioni statistiche hanno pubblicato le loro stime sui principali quotidiani e siti di informazione. I sondaggi naturalmente continueranno a essere fatti fino al giorno delle elezioni, solo non potranno essere diffusi: e quindi in conseguenza della legge rivedremo presto anche i soliti articoli con i dati dei sondaggi mascherati.

Comunque: secondo gli ultimi sondaggi pubblicabili la situazione dei partiti è rimasta simile nel corso delle ultime settimane. A oggi, nessuna coalizione o lista dovrebbe riuscire a raggiungere una chiara maggioranza dei seggi in Parlamento.


– Come funzionano i sondaggi politici?

Più nel dettaglio, se si votasse oggi la coalizione di centrodestra – composta da Forza Italia, Lega Nord, Fratelli d’Italia e Noi con l’Italia – dovrebbe raccogliere il maggior numero di voti, arrivando poco sotto il 40 per cento. Il Movimento 5 Stelle è dato a poco meno del 30 per cento, poco più del risultato attribuito all’intera coalizione di centrosinistra, composta invece da Partito Democratico, +Europa, Civica Popolare e Insieme (il PD da solo, invece, è dato da quasi tutte le società sotto il 25 per cento). Infine, Liberi e Uguali dovrebbe superare la soglia di sbarramento del 3 per cento e arrivare intorno al 5 per cento. Di nuovo, questa è la situazione se si votasse oggi: se i risultati del 4 marzo dovessero essere diversi potrebbero aver sbagliato questi sondaggi ma potrebbero anche semplicemente essere cambiate le cose, visto che mancano ancora due settimane e ci sono moltissimi elettori indecisi.

Secondo l’Istituto Piepoli, che ha pubblicato i suoi risultati sulla Stampa, le intenzioni di voto degli italiani non sono cambiate molto nel corso degli ultimi due mesi. Il PD ha continuato a perdere consensi, Forza Italia è cresciuta poco ma abbastanza da superare la Lega Nord, il Movimento 5 Stelle è rimasto stabile. I risultati dell’ultimo sondaggio, che ha un margine di errore di circa il 3 per cento, mostrano la coalizione di centrodestra al 37 per cento, quella di centrosinistra al 29,3 per cento (con il PD al 24,5 per cento) e il Movimento 5 Stelle al 27 per cento.

Demos, che ha pubblicato il suo sondaggio su Repubblica, assegna al centrodestra circa il 35 per cento, al Movimento 5 Stelle il 27,8 per cento, al centrosinistra il 25 per cento circa, con il PD al 22 per cento e +Europa sopra la soglia di sbarramento con il 3,5 per cento. Secondo IPSOS, l’unica grande società multinazionale che effettua regolarmente sondaggi politici in Italia, il centrodestra è al 35,6 per cento, il Movimento 5 Stelle al 28,6 per cento e la coalizione di centrosinistra al 27,9 per cento (con il PD al 22,6 per cento e +Europa oltre la soglia di sbarramento al 3,1 per cento).

Sul Sole 24 Ore sono stati pubblicati i dati del sondaggio realizzato dal Centro Italiano Studi Elettorali dell’università LUISS, che mostrano il Movimento 5 Stelle a poco meno del 30 per cento e con il centrodestra sopra il 35 (Lega e Forza Italia sarebbero entrambe al 15 per cento in questa stima). Infine, sul Messaggero sono stati pubblicati i dati di SWG, che mostrano il Movimento 5 Stelle tra il 27 e il 29 per cento e due punti percentuali di differenza tra Lega e Forza Italia a vantaggio di quest’ultima, col centrodestra tra il 34 e il 36 per cento.

I sondaggi pubblicati oggi sembrano fornire un quadro sostanzialmente simile a quello della supermedia di YouTrend, realizzata facendo la media tra i principali sondaggi pubblicati fino al 15 febbraio, cioè fino a ieri. La supermedia assegna oggi al centrodestra il 36,8 per cento, al Movimento 5 Stelle il 28,1 e al centrosinistra il 27,4 per cento; Liberi e Uguali sarebbe al 5,7 per cento. Nessun sondaggio mostra un calo del Movimento in seguito agli scandali delle ultime settimane, ma a questo bisogna aggiungere che il partito fondato da Beppe Grillo non vede nemmeno migliorare i suoi consensi oramai da mesi.

Con questi risultati sembra molto complicato che un’unica alleanza – tra quelle che si candidano alle elezioni – possa riuscire a ottenere la maggioranza assoluta dei seggi. Secondo i calcoli degli esperti di questo sistema elettorale, con circa il 40 per cento dei consensi è possibile raggiungere la maggioranza assoluta, ma serve ottenere un risultato particolarmente buono nei collegi uninominali, dove lo spostamento anche di pochi voti può determinare grossi cambiamenti (qui c’è una spiegazione di tutto ciò che c’è da sapere sulla legge elettorale, il Rosatellum). Nessuna forza politica è stimata sopra il 40 per cento e anche il centrodestra è dato da quasi tutti a un paio di punti dalla soglia in cui raggiungere la maggioranza diventa possibile. Molte cose però possono ancora cambiare: ci sono due settimane di campagna elettorale e il 20-30 per cento degli elettori ha dichiarato di essere ancora indeciso su come votare.

Nel caso da qui al 4 marzo non ci fossero grossi cambiamenti rispetto a quanto stimato dai sondaggisti, l’esito più probabile del voto è un Parlamento diviso in tre blocchi. A quel punto l’unica possibilità per formare una maggioranza sarebbe una coalizione larghissima, che dovrebbe comprendere non solo tutto il centrosinistra e Forza Italia, ma anche numerosi parlamentari provenienti da altre forze politiche. Un altro scenario possibile di maggioranze alternative a quelle odierne – un’alleanza “sovranista” tra Movimento 5 Stelle, Fratelli d’Italia e Lega – al momento sembra improbabile, ma non si può escludere.


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NANDO PAGNONCELLI, CORRIERE DELLA SERA –

Qualcuno ha definito la campagna in corso come «sgangherata». Al lordo del fatto che la definizione arriva da uno dei leader in campo, forse coglie bene la situazione. 

Non si tratta solo dei toni della campagna (e per questo rimandiamo alla rubrica Parole Ostili che questo giornale pubblica settimanalmente e che dà conto di un’estesa aggressività percepita dai cittadini), ma anche della difficoltà nell’indicare programmi per il Paese. Sembra che prevalgano promesse. E non infrequentemente, con immediata evidenza, si tratta di promesse difficili da mantenere. Oppure talmente costose da non essere praticabili se non a prezzo di un dissesto di bilancio.

Gli incerti

Di fronte a questo panorama il dato di incertezza e astensione rimane elevato, attestandosi ancora al 34% nonostante al voto manchino oramai poco più di due settimane È un elettorato variegato, con una importante presenza di elettori centristi che nel 2013 avevano votato per la coalizione montiana, seguiti da elettori di centrosinistra, ma anche, sia pur in misura minore da pentastellati e elettori di centrodestra. Si tratterà di capire se questi cittadini, presumibilmente non entusiasti, decideranno effettivamente di rientrare nell’agone recandosi alle urne. In tal caso i risultati di cui parliamo oggi potranno vedere qualche cambiamento, forse anche apprezzabile. Ad ogni modo, non vediamo una frana drammatica nella partecipazione al voto. Tuttavia è molto probabile che diminuirà il numero dei votanti, attestandosi presumibilmente intorno al 70%, comunque qualche punto sotto il 75% del 2013.

La soglia decisiva

L’equilibrio tra le forze conferma la graduatoria che abbiamo visto nelle ultime settimane. Il Pd soffre ancora. La difficoltà ad affermare una propria agenda e la rincorsa sui temi degli avversari, le divisioni interne che non sono state sanate dalla composizione delle liste, le difficoltà della leadership renziana, determinano una progressiva riduzione del consenso, un calo che da diverse settimane non si ferma. Tuttavia la contrazione del Pd è compensata dalla crescita delle forze alleate e in particolare della lista Bonino, che sembra oramai essere al di là della soglia di sbarramento per l’ingresso nel Parlamento. Mentre le altre due formazioni del centrosinistra — Insieme e Civica e Popolare di Lorenzin — sono ferme intorno all’1%. Si tratterà di capire se queste forza supereranno l’1%, di modo che i loro voti siano conteggiati nella somma di coalizione, oppure andranno dispersi. In ogni caso il superamento della soglia da parte di +Europa rende quasi impossibile l’obiettivo che Renzi si era posto per il Pd, di essere la prima forza parlamentare.

Il duello

Il centrodestra continua a essere la forza predominante ma la sua spinta espansiva sembra essersi fermata, anzi segna una lieve contrazione rispetto a circa un mese fa. Rimane l’incognita dell’equilibrio interno. La battaglia per la leadership che vede nettamente contrapposti Berlusconi e Salvini, può essere risolta solo dal risultato elettorale. Ma se la distanza tra le due forze rimanesse quella attuale, la prevalenza di Forza Italia non sarebbe probabilmente sufficiente, dato che le due forze alleate (Lega e FdI) al momento superano il partito principale. 

Infine i 5 Stelle. La recente questione dei rimborsi che ha dominato negli ultimi giorni ha un po’ ammaccato ma non davvero penalizzato questa formazione: il risultato del Movimento segna infatti un’assoluta stabilità. Forse è passata la tesi di Di Maio, cioè il fatto che comunque loro, a differenza degli altri, restituiscono una parte delle indennità percepite e la vicenda ha dato una visibilità non da poco sia alla restituzione (non tutti ne erano a conoscenza), sia alla devoluzione ad un fondo a sostegno delle piccole imprese in difficoltà. 

La classifica

Da ultimo la simulazione della ripartizione dei seggi, che vedono la prevalenza del centrodestra con una stima di 283 seggi totali (si vedano le forchette di minimo e massimo nel grafico), quindi ancora al di sotto della soglia di maggioranza, seguiti dal centrosinistra con una stima di 158 scranni, dal Movimento 5 Stelle con 152 seggi, e da ultimo da Leu con 24 deputati, provenienti tutti dal proporzionale. Nelle ultime stime cambia quindi la graduatoria: il Movimento 5 Stelle sembra un po’ in affanno al Sud dove dopo la presentazione delle candidature, parte dei collegi uninominali si sono spostati verso il centrodestra. Due ultime notazioni: ad oggi +Europa otterrebbe seggi nel proporzionale mentre appare in difficoltà nei collegi uninominali; al contrario, Noi per l’Italia-Udc otterrebbe deputati solo nei collegi uninominali ma non nel proporzionale, dato che si colloca sotto la soglia del 3%. 

Dal punto di vista dell’attrattività dei leader non si registrano differenze, ad eccezione di Emma Bonino, che decresce di alcuni punti a causa del suo definitivo posizionamento nell’area del centrosinistra e dell’ingresso in campagna elettorale. Saldamente in testa rimane il premier Gentiloni che migliora sensibilmente le valutazioni che registravamo un mese fa, raggiungendo il livello più elevato da inizio mandato, grazie all’apprezzamento espresso da una quota non trascurabile di elettori dei partiti di opposizione che si somma al gradimento degli elettori della maggioranza. Il premier, quindi, a differenza di tutti i suoi predecessori dal 1994 in poi, termina il mandato in crescita di consenso.

Gli equilibri precari

Insomma, ancora nessuna maggioranza si profila, ad eccezione di un’ipotesi oggi remota: un’intesa extralarge che comprenda almeno il centrosinistra, Forza Italia, Noi con l’Italia e Leu. Ci sono possibilità che lo scenario si modifichi? Margini di cambiamento sono senza dubbio ancora possibili, almeno per due fenomeni: del primo, quello degli incerti, abbiamo già parlato. Ne capiremo qualcosa di più nei prossimi giorni, ma le norme ci impediranno di parlarne sui media. L’altro è la capacità dei candidati di attirare voti. Nei 232 collegi uninominali si voterà infatti per le persone, e vincerà chi otterrà un voto in più. Questo potrebbe portare a qualche ulteriore ribaltamento soprattutto nei collegi del Sud dove il centrodestra sembra schierare un ceto politico presumibilmente più capace di conquistare elettori. E, infine, non va dimenticato l’impatto delle nuove modalità di voto e del divieto di voto disgiunto, ignorati da molti elettori. 

Ma nel caso, assai probabile, di stallo, cosa potrebbe succedere? Sia Berlusconi che Renzi sembrano orientati a tornare a breve al voto, con la stessa legge elettorale. Francamente è difficile immaginare che in pochi mesi possano cambiare sensibilmente gli orientamenti degli elettori. Il rischio è di perpetuare l’impasse.


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ILVO DIAMANTI, LA REPUBBLICA –A due settimane dal voto prevale ancora l’incertezza. Come mostra il sondaggio di Demos per Repubblica, gli elettori indecisi sono circa il 45%. Qualche punto meno di un mese fa. Sempre troppi, per formulare ipotesi precise. Ma anche imprecise. Tanto più perché la nuova legge elettorale, il Rosatellum, presenta una combinazione di sistemi di voto diversificata. Tra collegi “uninominali” e “proporzionali”. Difficile proporre scenari attendibili, in assenza di riferimenti storici ai quali affidarsi. D’altronde, i sondaggi non servono a pre-vedere, ma a tracciare il profilo degli orientamenti in una fase specifica. In questo caso, le stime di Demos forniscono indicazioni “incerte”, ma utili a comprendere quali tendenze caratterizzino questa campagna elettorale. Alla vigilia del voto. Anzitutto: “l’incertezza”, come si è detto.Inoltre: un vento che spira verso destra. Comunque: a Centro-destra. Forza Italia, infatti, supera il 16%. Il dato più alto dopo le europee del 2014.Anche il suo principale alleato, la Lega di Salvini, cresce, a sua volta, di poco. E torna oltre il 13%. I Fd’I, guidati da Giorgia Meloni, scivolano appena sotto il 5%. Insieme alla “quarta gamba” centrista il Centro-destra raggiunge il 35%.E potrebbe, forse, conseguire la maggioranza parlamentare. Se la nuova legge elettorale permettesse di tentare stime credibili, circa la distribuzione dei seggi su base territoriale.Impresa non facile, per le ragioni indicate: la combinazione di logiche diverse, complicata dal contributo dei candidati, su base locale. Difficile da calcolare. Il partito che ottiene maggiori consensi, comunque, resta il M5s. Nonostante le polemiche che lo hanno coinvolto in queste settimane.Perché le sue “fortune” derivano dai demeriti altrui più che dai meriti propri. In altri termini, il M5s continua a beneficiare della sfiducia verso il sistema politico, in generale, e verso gli altri partiti. Vecchi e nuovi: non importa. Il nuovo sistema elettorale, tuttavia, lo penalizza, per il suo radicamento sul territorio, ancora ridotto. Come dimostrano le difficoltà dei 5 stelle alle amministrative. È probabile, d’altronde, che questa considerazione abbia contribuito all’accordo fra gli altri partiti, in primo luogo Pd e FI, intorno a questo progetto, oggi tradotto in legge elettorale. Il leader più stimato, peraltro, continua ad essere il premier, Paolo Gentiloni. Aiutato, come ho scritto in altre occasioni, dalla sua scelta di restare sullo sfondo. Di non occupare la ribalta. In mezzo a tante grida, parlare a voce bassa: fa rumore… Gli altri protagonisti, infatti, lo seguono, a distanza più o meno ampia. Di Maio al 36%. Salvini, poco sopra il 30%.Come Matteo Renzi, sempre fermo al 31%. Accanto a Giorgia Meloni e al Presidente del Senato e, oggi, leader di Leu, Pietro Grasso. Il PDR, intanto, continua a perdere punti. Non per caso, vista la sua “dipendenza” dall’immagine del Capo. Oggi è intorno al 22%. Mentre, alla sua sinistra, Leu scavalca di poco il 6%. Qualcosa in meno rispetto a un mese fa.Cresce, invece, +Europa, il soggetto politico guidato da Emma Bonino (con il sostegno di Bruno Tabacci), che si attesta intorno al 3,5%. Bonino, d’altronde, è l’unica a seguire Gentiloni a distanza non eccessiva, sul piano dei consensi personali. Può sorprendere il limitato appeal personale di Berlusconi, attestato al 28%. Ma si tratta di una figura che, da sempre, “divide”. Anzi, proprio questa debolezza gli permette oggi di recitare la parte del “mediatore”. Non solo nel Centro-destra. Anche oltre. Da “muro” è divenuto, così, un “ponte”, come ho scritto qualche settimana fa.Insieme, le forze di Centro-sinistra superano a fatica il 30%. E, comunque, Pd e Leu sono “divisi”. Secondo la tradizione della Sinistra.Difficile, su queste basi, ipotizzare un successo elettorale di questa “parte”. D’altra parte, se consideriamo il voto espresso alle europee 2014, tra gli elettori del Pd – di allora – oggi si osserva il grado di incertezza più elevato. Siarispetto a quelli che ieri avevano votato per FI, i Fratelli d’Italia. E, a maggior ragione, per Lega e M5s. Non è, dunque, facile immaginare una maggioranza parlamentare, su queste premesse. L’unica coalizione che vede possibile questo obiettivo è il Centro-destra. In largo vantaggio nell’intero Nord ma anche nel Mezzogiorno. (Come ipotizza, ad esempio, Rosatellum.info, l’Osservatorio curato da Quorum, Youtrend e Reti.) Tuttavia, in caso di impasse, gli italiani non sembrano gradire altri esperimenti di “grande coalizione”. Oltre metà degli elettori preferirebbe, anzi, tornare subito alle urne.In questo clima incerto, si fanno largo sentimenti inquietanti. Il sondaggio rivela, infatti, un buon grado di comprensione verso il terrorista di Macerata.Al contempo, si colgono segni di indulgenza verso Mussolini. L’Uomo Forte, che ha marcato la nostra storia del Novecento. Si tratta di orientamenti diffusi fra gli elettori di destra. E soprattutto nella base della Lega Nazionale. Di Salvini. Ma presenti, in qualche misura, anche fra gli elettori del M5s. Naturalmente, queste “nostalgie” non sono nuove. Ma il clima di intolleranza che pervade il Paese rischia di amplificarle. Soprattutto in tempi di campagna elettorale. Così sorprende un poco – anzi: non poco – il grado di fiducia espresso verso il governo, come verso il premier. Serve a rammentare che, in tempi di “instabilità”, la domanda di “stabilità” resta comunque ampia. E che la domanda di “sicurezza” non si affronta solo alimentando la “paura”. Né inseguendo un passato che non passa.

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UGO MAGRI, LA STAMPA –

L’ultima istantanea dell’Istituto Piepoli, che precede il black out sui sondaggi, è quasi identica a quella di sette giorni fa. Cambiano solo un paio di zero virgola: come se certi fatti, dal delitto orrendo di Macerata alla «rimborsopoli» grillina, fossero scivolati via senza lasciare traccia.
Di sicuro non ne ha profittato il leader della Lega Matteo Salvini, che molti davano in forte crescita; dal suo punto di vista, questi orientamenti di voto rappresentano una delusione, mentre proveranno sollievo i Cinquestelle rimasti aggrappati al loro 27 per cento.
Percentuali stabili
Ma pure tornando indietro di due mesi, la «scoperta» è che già allora le percentuali dei tre schieramenti erano grosso modo le stesse. Il calo Pd e l’avanzata berlusconiana (con conseguente sorpasso di Forza Italia sulla Lega) risalgono a prima di Natale. Dopodiché nessuno ha avuto più un guizzo, uno scatto, un colpo d’ala. Può significare che la gente si è fatta un’idea, e da quella ormai non si schioda tanto facilmente; oppure che i leader hanno sparato con troppo anticipo le rispettive cartucce, col risultato di trovarsi adesso a corto di munizioni.
Le ultime cartucce
Sia come sia, gli ultimi fatti di cronaca non hanno spostato i consensi e da molte settimane nemmeno la propaganda riesce a ottenere grandi risultati. Per cui viene da chiedersi se davvero, nei 16 giorni di qui al voto, potranno verificarsi eventi tali da sconvolgere le previsioni.
Qualche volta in passato è successo, per esempio alle Europee del 2014 la vittoria Pd fu travolgente e inattesa, ma di regola non funziona così.
Allo stesso modo, nessuno può escludere che proprio alla vigilia del 4 marzo Renzi, Berlusconi o Di Maio estraggano dal cilindro qualche coniglio, tipo Mago Forest. Però non è detto che l’Italia abbocchi; per essere efficace dovrà trattarsi di una proposta originale e per giunta credibile, due qualità molto rare, figuriamoci insieme.
Gli schieramenti
Al momento, dunque, il centrodestra rimane davanti. Ha un margine di quasi otto punti sull’alleanza che fa saldamente capo al Pd, e di dieci su M5S. Nel grosso dei collegi uninominali, pari a circa un terzo del totale, Berlusconi Salvini e Meloni partono favoriti, specialmente al Nord. Però nessuno può pronosticare con certezza se i tre litigiosi alleati conquisteranno la maggioranza assoluta dei seggi che permetterebbe loro di governare.
Il testa a testa finale
Sono in largo vantaggio, si proclamano vicini alla meta, eppure gli ultimi metri sono di solito i più difficili. Le percentuali dell’Istituto Piepoli inducono alla massima prudenza. L’unica vera certezza, evidente nel sondaggio, è che pochi elettori potranno fare la differenza.
Col risultato in bilico tra centrodestra e «pareggio», andare alle urne non sarà fatica sprecata. Ogni singolo voto conterà.


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STEFANO FOLLI, LA REPUBBLICA –
 C’è una domanda che rimane sempre senza risposta quando si parla dei Cinque stelle. Una domanda che si ripropone con urgenza dopo la vicenda dei rimborsi fasulli, la cui gravità sta nella miseria morale che rivela. Sulla carta, questa miseria dovrebbe innescare un meccanismo di dissoluzione del M5S, una struttura politica la cui presenza sulla scena pubblica si giustifica solo con l’idea di onestà assoluta che pretende di incarnare e che ora è in briciole. Ebbene, il quesito è: come mai, nonostante le cannonate che il movimento subisce da giorni, i sondaggi continuano a premiarlo? A ben vedere, potrebbe esserci un’erosione poco significativa, meno di un punto percentuale, ma nel complesso il partito che ha in Di Maio il suo leader continua a godere del sostegno di un 27, forse 28 per cento di italiani.Può darsi che i sondaggi siano sbagliati, nel senso che gli istituti di ricerca si siano fatti ingannare dalle risposte ricevute.O che abbiano sopravvalutato, commettendo un altro errore, il dato del M5S. Tutto ciò è possibile ma assai poco probabile. È vero, dopo l’esplosione dello scandalo sembra che i Cinque stelle siano un po’ più deboli nel meridione rispetto a un centrodestra aggressivo.Ma anche in questo caso il fenomeno è troppo circoscritto per indicare un’inversione di tendenza. Tutto lascia credere, anzi, che il movimento fondato da Grillo stia passando attraverso la crisi come una salamandra attraverso il fuoco.Sul piano elettorale — e l’affermazione va fatta con ovvia prudenza — esso mantiene le sue posizioni con numeri anche più imponenti di quelli registrati nel 2013.Perché, dunque? Cosa rende il movimento più forte delle critiche, dei passi falsi, persino delle menzogne?Non dipende dalla leadership para-democristiana di Di Maio, del tutto priva di carisma a differenza degli anni di Grillo. E certo l’apparente solidità non nasce dalla brillantezza del programma, dalla qualità dei candidati in lista, dalla pretesa superiorità etica. Deriva da un solo aspetto: votando i Cinque stelle si dà un calcio a tutti gli altri. Si vota contro il “sistema”, qualsiasi cosa s’intenda con tale espressione. Succede in altri Paesi europei, quindi non stupisce la variante italiana. Quello che sconcerta è la dimensione del fenomeno e la sua persistenza. L’Uomo Qualunque di Giannini, nell’Italia dell’immediato dopoguerra, ebbe una fioritura altrettanto sorprendente, ma vita effimera: scomparve appena il Paese distrutto dalla guerra si risollevò sotto la guida di De Gasperi, avendo all’opposizione un Pci responsabile, capace di dare a suo modo un contributo alla rinascita economica e sociale della nazione.Viceversa oggi il M5S prospera sulla scarsa credibilità dei suoi interlocutori e avversari. È la classe dirigente nel suo complesso, ma in particolare la classe politica (nel centrodestra e nel centrosinistra) ad apparire troppo fragile e lacunosa per riassorbire con successo il voto della protesta e del rancore.Rispetto a questa realtà drammatica, il voto ai Cinque stelle è un modo per punire chi ha governato ieri e l’altro ieri.Nient’altro. È condanna senza appello per una classe politica che ancora non riesce a rigenerarsi, dal Pd a Forza Italia; ed è il segno di un Paese sfilacciato nelle sue articolazioni istituzionali. È plausibile che dopo le elezioni i Cinque stelle vadano incontro a una frantumazione parlamentare, nessuno essendo in grado di gestire le tensioni interne. Ma fino ad allora si illudono quanti credono e sperano che i voti lascino il M5S per tornare indietro verso i partiti classici.

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GIOVANI INDECISI –  ELISABETTA SOGLIO, CORRIERE DELLA SERA –

I ncerti, indecisi e poco (pochissimo) soddisfatti delle politiche che li riguardano. A meno di tre settimane dal voto, i giovani raccontati nell’ultima indagine dell’Istituto Toniolo (realizzata da Ipsos dall’1 al 9 febbraio su un campione rappresentativo di 2.225 residenti italiani tra i 20 e i 35 anni) sembrano non aver ancora deciso come orientarsi davanti alle urne. Solo il 29 per cento ha già deciso chi voterà, cui si aggiunge un 14,4 per cento che però non è «pienamente convinto» della scelta; il 17,3 andrà a votare ma non sa bene cosa e l’11,2 voterà «per non far vincere le forze politiche che considero dannose per il Paese». Il rimanente 30 per cento circa o non andrà ai seggi o comunque è indeciso se farlo: il 9 per cento pensa di andare ai seggi solo se troverà proposte davvero convincenti (percentuale che sale al 13 per cento se si considera chi non ha lavoro). Alla domanda su chi vincerà, il 31,5 pensa alla coalizione di centrodestra e il 19,7 al Movimento 5 Stelle: conta sul centrosinistra il 7 per cento degli intervistati, sulla sinistra il 2,3. L’opinione su come finirà non coincide tuttavia con la fiducia nei vari schieramenti: si fida del centrodestra il 14,9 per cento, del centrosinistra l’11,7 e dei 5 Stelle il 20,4. I temi che possono condizionare la scelta? Un intervistato su tre indica gli incentivi per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e uno su quattro punta sulla politica fiscale. Come osserva il professor Alessandro Rosina, curatore dell’indagine, «è verosimile pensare che molti giovani decideranno negli ultimi giorni, disposti, pure se in larga parte disillusi, a farsi convincere nel caso di proposte concrete e convincenti». 

Critica la valutazione sul quadro politico italiano, soprattutto per la scarsa capacità di mettersi in sintonia e includere le nuove generazioni: una opinione che migliorerebbe per il 74 per cento degli intervistati nel caso in cui la politica offrisse spazio di partecipazione e azione per i giovani. 

Il giudizio sull’operato del governo Gentiloni? «Insufficiente» per il 51,1 per cento che diventa il 56,2 se si chiede di valutare in particolare le politiche per i giovani. Resta anche uno scarso interesse per la politica in Italia, bocciata dal 53 per cento dei giovani.


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CARLO BERTINI, LA STAMPA –

Carlo Bertini

Come un fulmine a ciel sereno, Marco Minniti squarcia il velo di ipocrisia che ha circondato finora la linea ufficiale del Pd del «mai con Berlusconi»: e apre una crepa gigantesca, alimentando la vulgata di un solco profondo tra lui e Renzi dopo il caso delle candidature, malgrado i due vadano da giorni a braccetto sulla scena. Il titolare dell’Interno, stimolato da Vespa, benedice un governo di larghe intese. «Farei parte di un governo di unità nazionale? Assolutamente sì, purché ci fosse anche il mio partito».
Minniti insomma certifica quel che tutti pensano, mettendoci la faccia: senza aver concordato quest’uscita con Renzi. Che ci resta di sale, visto che da giorni lui va sbandierando la linea opposta. «Champagne per brindare a un incontrooo...», canticchia mentre arriva negli studi di Quinta Colonna. E continua così dopo aver ascoltato la domanda dei cronisti su Minniti. Un dribbling che certifica il gelo totale. «Ora siamo in piena competizione elettorale - dice candidamente Minniti - ma dal 5 marzo la partita è nelle mani solide ed equilibrate del presidente della Repubblica e spetterà a lui dare una soluzione alle grandi questioni che si porranno». Come a dire, per convenzione tutti sono ora sono obbligati a dire no alle larghe intese, ma la verità è un’altra. Con una chiosa: «C’è un momento in cui si discute, ad esempio sulle liste, e poi c’è la partita elettorale in cui si combatte per il consenso e lo si fa insieme. La leadership è di Renzi, io non gli ho rimproverato niente, ho solo espresso una mia opinione nota».
Il ministro non finisce neanche di pronunciare le sue frasi, rilanciate immediatamente dalle agenzie, che i cellulari dem già ribollono. «Nessuno di noi si sogna di dire una cosa del genere, evidentemente lui pensa già al domani, vuole continuare a stare al Viminale, e pianta una bandierina per comunicarla ai possibili partners», è il commento più benevolo che si coglie tra i renziani. Infuriati anche perché stavano cominciando a respirare e si ritrovano di nuovo nel frullatore dopo aver passato la via crucis dei fatti di Macerata, pagati a caro prezzo nei sondaggi interni, che ieri sera malgrado tutto certificavano una lieve crescita del Pd (e anche dei grillini, al lordo del caos rimborsi).
Renzi giocoforza non può dire una sillaba né a favore né contro il suo portabandiera di questi giorni, portato in palmo di mano malgrado tutto. Mentre Minniti deposita questa perla, tracciando la via del governissimo nello studio di Vespa, lui sta omaggiando il candidato gentiloniano Luciano Nobili della sua presenza ad un aperitivo elettorale. Di lì a poco da Del Debbio a Quinta Colonna se la cava con una battuta. «Ci spiega la linea del presidente Minniti sull’immigrazione?», è il lapsus freudiano di Del Debbio. «Si è avvantaggiato...», ci scherza su Renzi. Del resto gli uomini del segretario provano a gettare acqua sul fuoco. «Tranquilli, quando lui non sopporta qualcuno certo non se lo porta in tivù: e domenica invece gli ha chiesto di andare insieme dalla Annunziata». Se è vero che Renzi lo incita ad andare in tivù, certo non gli fa piacere sentire dire a Minniti il rovescio di un ritorno alle urne in caso di stallo. «Minniti ha detto con un pelo di sincerità in più ciò che non si può ammettere», tagliano corto i renziani più smaliziati. E se caldeggia un prosieguo di Gentiloni a Palazzo Chigi, nulla questio, perché è «chiaro che se nessuno vince va avanti il governo che c’è, nel caso non vi sia alcuna possibilità di formare una maggioranza». Certo, basta gettare qualche sonda nel cerchio stretto del leader per preconizzare maretta a due settimane dal voto, con una resa dei conti già anticipata. «Quando si faranno i gruppi parlamentari si vedrà che contano più quelli delle interviste...».