Avvenire, 16 febbraio 2018
Afghanistan, l’anno di sangue dei civili: 10 morti al giorno nel 2017
Niente pace in Afghanistan. Anzi, le statistiche suelle vittime segnalano tendenze preoccupanti, evidenziando la realtà di un Paese che non solo è coinvolto in un conflitto tra le varie fazioni dei taleban e le forze governative che hanno il supporto di reparti Usa e multinazionali, ma dove le uccisioni indiscriminate di civili vanno prendendo il sopravvento.
I dati che emergono dal rapporto annuale della missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama), che riguarda le vittime civili evidenzia il superamento per il quarto anno consecutivo della soglia di 10mila vittime complessive, arrivate nel 2017 a 10.453. Di queste, 3.438 sono i morti e 7.015 i feriti: una tremenda “media” di quasi dieci morti al giorno e poco meno di trenta tra uccisi e feriti. Complessivamente un saldo negativo del nove per cento rispetto all’anno precedente, ma solo per un’incidenza inferiore degli scontri armati tra militanti e forze governativi Per contrasto, emerge il numero delle vittime civili in azioni belliche portate sovente nel cuore delle città. Come l’attentato più devastante dell’anno, quello del 31 maggio davanti all’ambasciata tedesca a Kabul che ha causato la morte di 150 persone e il ferimento di altre 500. Sono stati quasi 2.300 i «non combattenti» uccisi o feriti in Afghanistan nel 2017, il bilancio più alto mai attribuito agli insorti. Come sottolinea l’Onu, il 22 per cento del totale di morti civili per quelli definiti «attacchi complessi» (ovvero attentati seguiti da assalti armati) rappresenta il bilancio più grave mai registrato dalla missione Onu dal 2009. In questa ultima casistica emergono le vittime di 57 atti suicidi, con 605 morti e 1.690 feriti (+17% sul 2016). Dati in sé drammatici, che – avvertono le Nazioni Unite – sono solo approssimativi, dato che escludono le aree controllate dai taleban o da altri gruppi. Tra questi, cellule dell’autoproclamato Califfato, la cui presenza si è finora manifestata più in attacchi contro obiettivi civili o misti militaricivili, che in campo aperto.
Attribuzioni, le loro, difficilmente verificabili e probabilmente in eccesso rispetto alle azioni terroristiche. Sul totale delle vittime, si precisa nel rapporto, circa il 42 per cento è attribuibile ai taleban, il dieci al Califfato del Khorasan (il Daesh è presente anche nel confinante Pakistan) e il 13 per cento a altre forze antigovernative. Registrate dall’Onu anche il 16% di vittime provocate dalle forze di sicurezza afghane, il due per cento dalle forze internazionali e una percentuale equivalente da gruppi filo-governativi. Infine, sovente prese in mezzo nei combattimenti o impossibilitate a avere anche un preavviso minimo che ne garantisca la salvezza, le vittime civili sono state causate per l’11 per cento da scontri a fuoco tra forze avversarie. Per lo scorso anno viene evidenziato anche il numero degli attacchi contro luoghi di culto, leader religiosi e fedeli, in particolare dell’islam sciita, minoritario. Le 38 azioni di questo tipo che hanno causato la morte di 297 individui sono state perlopiù attribuite a Stato islamico/Daesh.
C’è però chi, nonostante i rischi e le violenze, mantiene accesa la speranza e la fede cristiana. «Ci auguriamo una Quaresima ricca di frutti spirituali. Preghiamo perché l’Afghanistan possa ritrovare un po’ di tranquillità e riprendere il suo cammino di crescita umana, politica, sociale e economica», ha detto padre Giovanni Scalese all’agenzia Fides.Il barnabita, titolare della Missio sui iuris dell’Afghanistan, ha sottolineato anche i rischi per i pochi cattolici: «La comunità continua ad assottigliarsi. È chiaro che i problemi di sicurezza hanno portato molti a lasciare l’Afghanistan. I pochi rimasti sono spesso impossibilitati o per lo meno scoraggiati a raggiungere la chiesa per la Messa festiva, ma chi lo fa dimostra una fede e un coraggio ammirevoli».