Avvenire, 16 febbraio 2018
Un po’ di dati sulle armi negli Stati Uniti
«Nessun bambino, nessun insegnante o qualunque altra persona dovrebbe mai sentirsi insicuro in una scuola americana». Le parole di Donald Trump all’indomani del massacro nella Marjory Stoneman Douglas High School di Parkland in Florida, suonano oltremodo beffarde considerando che quella del giorno di San Valentino è stata la diciannovesima sparatoria avvenuta in una scuola dall’inizio di quest’anno.
Senza contare che in un Paese civile nessun cittadino, a nessun titolo, dovrebbe avere la possibilità di acquistare senza troppa difficoltà un’arma da guerra come il fucile semiautomatico d’assalto Ar-15 di cui si è servito il diciannovenne Nikolas Cruz, il quale – a dispetto di ciò che si potrebbe pensare – aveva felicemente superato il “background check”, il controllo sui precedenti penali che i rivenditori d’armi sono obbligati ad effettuare. Ma l’America, lo sappiamo bene, adora le armi, ne fa un feticcio attorno al quale ha ricamato una torva liturgia, prontamente rievocata a poche ore dalla strage dallo speaker repubblicano della Camera Paul Ryan, per il quale i fatti di Parkland non debbono portare ad eliminare il diritto dei cittadini di possedere un’arma.
Come recita il Secondo emendamento della Costituzione, da sempre ostentato dalla potente lobby della Nra (National Rifle Association): «A well regulated Militia, being necessary to the security of a free State, the right of the people to keep and bear arms, shall not be infringed» (Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una ben organizzata milizia, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto). Emendamento, questo va detto, varato nel 1791 e mai sostanzialmente sottoposto a manutenzione. Manutenzione che viceversa sarebbe necessaria oggi nel regolamentare il possesso e la detenzione di armi. Le statistiche, più di ogni altra considerazione, ci offrono la dimensione e la gravità del problema.
Secondo il Congressional Research Service, negli Usa circolerebbero 357 milioni di armi da fuoco contro una popolazione di soli 318,9 milioni di persone, il 20% delle quali possiede il 65% delle armi e assegna al Paese il discutibile primato di poter vantare il 42% dei civili armati del mondo. Non stupiamoci dunque se la puntigliosa Gunviolencearchiv. org stima in 15.590 le vittime di colpi di arma da fuoco nel 2017 e 31.181 i feriti, mentre sono 346 le vittime di stragi come quella avvenuta in Florida. Nel 2016 erano morte 15.056 persone per colpi di arma da fuoco e oltre 30 mila erano rimaste ferite. L’anno precedente i morti erano stati 13.484 e i feriti 27.035. Nel 2014 12.557 i morti e 23.012 i feriti. Un trend, come si vede, in costante crescita, come in crescita è il mercato legale delle armi da fuoco. Ci provò Obama nell’ultima fase del suo secondo mandato a mettere la mordacchia a questa ordalia armata («La lobby delle armi può forse tenere in ostaggio il Congresso, ma non può tenere in ostaggio l’America»), varando – ma senza successo – un piano per rendere più selettivo e difficile l’acquisto di armi. I repubblicani fecero muro.
In compenso nella proposta di bilancio 2019 della Casa Bianca si nota un taglio significativo ai fondi di due programmi per il monitoraggio delle armi, segnatamente al database federale attraverso il quale i rivenditori di armi possono controllare i precedenti penali di potenziali acquirenti. «Non si può negare che nel nostro Paese stia accadendo qualcosa di pericoloso e di malato», si avventura a dire l’Attorney General Jeff Sessions, trumpiano di ferro e considerato uno dei membri più rigidi di tutto il Grand Old Party. Sempre che “The Donald”, dopo questa timida ammissione, non lo esoneri. Nel nome della libertà di armarsi.