il Giornale, 16 febbraio 2018
Il robot che chatta per noi e altre diavolerie artificiali
Tvtb, robot. L’intelligenza artificiale noi umani la usiamo preferibilmente per motivi cretini. E quindi quei gran geni di Google stanno studiando un automa che mandi messaggi al posto nostro. Al servizio di quei malati di texting che ogni giorno sfornano centinaia di imperdibili contenuti per Whatsapp, Messenger, Facebook. I signori di Mountain View hanno talmente poca fiducia nella qualità letteraria delle nostre comunicazioni cibernetiche da essere convinti che un generatore automatico di messaggi basato sull’intelligenza artificiale potrebbe non fare di peggio. Anzi, probabilmente con qualche errore di grammatica in meno.
Il laboratorio sperimentale che elabora i prodotti, la cosiddetta Area 120, sta attualmente lavorando proprio a questo. Un sistema chiamato Reply che per come viene descritto da Google parrebbe quasi più un segretario automatico che un semplice semplificatore di conversazioni. Infatti oltre a leggere ciò che l’interlocutore ti ha scritto e a suggerire risposte standard, Reply dovrebbe essere in grado di consultare il tuo calendario, di rilevare la tua posizione e altre informazioni contenute sul tuo smartphone. Insomma, se la tua fidanzata ti scrive: «Quando arrivi?», Replay potrebbe fare per te questo calcolo e rispondere da solo. Così come potrà mandare un messaggio automatico per informare i tuoi amici virtuali che sei in vacanza, oppure dire che quel giorno non puoi. Inoltre disporrà di una modalità avanzata don’t-disturb che dirà alle persone che in quel momento non puoi chattare.
Tutto molto bello. Tutto molto angosciante. Pensate a due telefoni che si parlano da soli prendendo o disdicendo appuntamenti per noi. Pensate alla verità che trionferà ovunque e proprio grazie a quello strumento che finora è invece stato fedele alleato dei fedifraghi, dei mentitori, dei temporeggiatori, dei pigri, dei fanfaroni. Pensate a un corteggiamento su Tinder condotto a botte di spiritosaggini artificiali come se il cuore (o anche la più terrena ansia di rimorchiare) fosse telecomandato.
Però fa un certo effetto questo ritorno del robot, parola così modernamente antiquata, che per tanti anni era entrata in un cono d’ombra. Ora di nuovo in auge perché quel pigrone dell’uomo tende a delegargli sempre più spesso lavori sciocchi. Detto che a Pyeongchang qualche giorno fa otto robot si sono sfidati in uno slalom davvero speciale sulle piste olimpiche (per la cronaca ha vinto uno scaldabagno di 75 centimetri al garrese detto Taekwon V), ci sono robot-cani che aprono le porte (no, non si chiama Maniglia ma SpotMini), robot che suonano il pianoforte (Teotronico, che oggi sfida a Milano un pianista in dita e ossa), minirobot che viaggiano nel nostro corpo (li sta studiando un team di ricercatori di Stoccarda e sarebbero utili), robot che disegnano a mano libera (Way to Artist di un team coreano). E poi c’è la star, Sohia, presentata nel novembre scorso al Web summit di Lisbona: interagisce con gli esseri umani, risponde alle domande dei giornalisti meglio di Di Maio, ricorda le conversazioni passate e attinge come un nerd qualsiasi a un database di informazioni quasi infinito, ha 65 espressioni facciali. E assomiglia a Audrey Hepburn. Possiamo avere il suo numero?