il Giornale, 16 febbraio 2018
Così la lobby delle pistole influenza la politica
Soldi, ma poi nemmeno così tanti se paragonati alle altre grandi industrie. Gli uomini giusti a Washington. E soprattutto una base molto attiva. È grazie a questi tre fattori-chiave che la National Rifle Association (Nra), l’organizzazione pro-armi con una storia lunga 145 anni, resta una potenza negli Stati Uniti, il Paese che dal 2013 a oggi ha assistito in media a una sparatoria di massa al giorno. E che ha ricevuto dal presidente Donald Trump il regalo più importante, alla vigilia del suo centesimo giorno alla Casa Bianca: la partecipazione alla conferenza annuale di Atlanta, prima volta di un presidente dopo l’intervento di Reagan nel 1983.
Solo l’anno scorso la Nra ha speso poco più di 4 milioni di dollari per l’attività di lobbying (dati del Center for Responsive Politics), una cifra record per i suoi standard ma irrisoria se paragonata ai 32 milioni sborsati dalla lobby degli agenti immobiliari o ai 104 milioni dalla lobby dei commercianti, il gruppo di pressione più ricco. A regalare un bottino da 53,4 miliardi al combattivo esercito pro-armi sono state le cosiddette «spese indipendenti», che grazie a una sentenza della Corte suprema consentono a singoli individui o a cittadini organizzati in gruppi di sostenere o contrastare candidati alle elezioni senza che ci sia un accordo o una richiesta diretta da parte degli interessati. È così che la Nra è riuscita a garantire l’elezione di 44 candidati (per una spesa di 14,4 milioni di dollari) e a ostacolare l’ascesa di altri 19 deputati anti-armi.
«La vera forza della Nra sta soprattutto nel suo elettorato», ha spiegato Adam Winkler, docente di diritto costituzionale e autore di Gunfight, la battaglia sul diritto di possedere armi in America. Perché se è vero che i soldi contano e che l’industria delle armi è florida negli Usa (13,3 miliardi di dollari di ricavi e profitti per un miliardo nel 2017, dati IbisWorld), è vero anche che il business delle automobili (3,1 miliardi di profitto) o quello dell’hi-tech lo sono molto di più. Per molti esperti, è quindi soprattutto l’attivismo della base a fare la differenza. Con circa 5 milioni di «membri attivi», il popolo pro-armi è quello che fa la differenza, ha spiegato al Guardian Robert Spitzer, docente di criminologia alla State University di New York. «Hanno una grande capacità di mobilitare sostegno popolare e di impegnarsi in politica, molto più di quanto non facciano la maggior parte degli americani, che a stento sono interessati al voto. Partecipano agli incontri, scrivono lettere, contattano amici. Visto che pochi connazionali sono disposti a fare lo stesso, il loro attivismo è quello che fa la differenza».
Poi certo, aiuta avere un presidente amico alla Casa Bianca. Alla conferenza della Nra, Trump disse: «Voi mi avete dato una mano e io la darò a voi». Anche se – ed è questo il paradosso dell’America della paura – le vendite sono diminuite rispetto agli anni dell’Amministrazione Obama, quando i discorsi contro il possesso di armi del presidente in realtà spingevano il business nel timore di una stretta legislativa. E non il solo paradosso di questa storia. Mentre i sondaggi riferiscono di un Paese che chiede ai rivenditori maggiori controlli sul passato dei clienti, specie di chi soffre di malattie mentali come il killer di Parkland (favorevole quasi il 90% degli americani) il presidente pare intenzionato a tagliare, nel prossimo bilancio, i fondi per il database federale con cui è possibile controllare i precedenti penali degli acquirenti.