la Repubblica, 16 febbraio 2018
Due sposini e una chat, così la Russia bandita tiene vivo l’orgoglio
PYEONGCHANG La Russia, o meglio OAR, Olympic Athletes from Russia, la definizione del Cio per i sorvegliati speciali di Mosca, sono due ragazzi che vivono a Krasnoyarsk. «Vuoi sposarmi?» chiede Semen a Olga. La risposta è sì. La cerimonia viene organizzata per San Valentino, tra un allenamento e l’altro a Yuzhno-Sakhalinsk. Entrambi sono sportivi: Semen Denshchikov è uno sciatore di freestyle, Olga Potylitsina una specialista dello skeleton. Giacca blu e cravatta azzurra per lui, abito da sposa con corpetto trasparente e tiara in testa per lei. Bisogna fare in fretta, perché Semen deve partire per le Olimpiadi in Corea, è uno dei 169 russi invitati dal Cio senza bandiera nè inno. Ma lei no, non può: è bandita, squalificata a vita prima che il Tas annullasse la sentenza, senza però impedire a lei e altri “riabilitati” di rimanere fuori dalle Olimpiadi. Uniti per la vita, ma divisi da Rodchenkov, il grande testimone delle manipolazioni dell’antidoping a Sochi, quando Olga si classificò quinta.
Denshchikov è in arrivo a PyeongChang, dalla Siberia la moglie gli ha chiesto di raccontare quel che è successo nel ritiro della squadra assediata: «Forse tutti si rallegreranno, lo spirito del team sarà sollevato e ci sarà felicità». Il marito, Olga lo guarderà in tv nella casa che condividono a Krasnoyarsk. E Semen, cosa troverà? Una squadra in trincea, con poche medaglie ma tanto orgoglio. E tantissime bandiere, che ovviamente non sono nelle mani degli atleti ma attorno a loro sì. Agitate nell’Olympic Park, nell’Ice Arena del pattinaggio, nell’Hockey Centre, accompagnate dall’urlo di sfida “Ru- ssi- a/ Ru- ssi- a”. Una proliferazione di vessilli che spaventa lo sciatore Maxim Burov: «Bello vedere tanto appoggio, ma potrebbe essere un po’ pericoloso, perché se fotografassero noi atleti accanto a queste bandiere sembrerebbe che le abbiamo noi». Ed è proibito. Certo, problemi non ci sono nella culla di questo orgoglio, Casa Russia, al Gyeongpo Beach Hotel, dove ogni giorno si incontrano le varie componenti della spedizione, dai tecnici ai giornalisti, e si festeggia sotto le bandiere della madre patria. Gli atleti nel recinto olimpico no, stanno attenti pena l’espulsione dai Giochi. Ma la ferita della divisione, delle liste degli invitati e dei banditi non è stata ancora rimarginata. Della squadra di pattinaggio di danza a Sochi sono rimasti solo Ekaterina Bobrova e Dmitri Soloviev, che chattano con i compagni banditi attraverso un gruppo Whatsapp. Un filo diretto che unisce “Fedia”, “Zhenia”, “Vova”, pattinatori un tempo rivali e adesso uniti dalla solidarietà. Poi c’è il sostegno tra chi è qui a Pyeong-Chang, come quello degli hockeysti, delle star in Russia, che appena arrivati al Villaggio sono corsi a fare il tifo per le meno conosciute compagne di squadra impegnate col Canada. A Niigata, in Giappone, si allena intanto il fiore di questa difficile missione, Alina Zagitova, pattinatrice quindicenne e bandiera in carne e ossa di una Russia che forse, se farà la brava, riporterà i suoi simboli dalle strade alla cerimonia di chiusura.