la Repubblica, 16 febbraio 2018
«Guasti, ritardi e degrado» il caos delle ferrovie regionali
BERGAMO Stazione, ore 7.23, binario 1. «Il primo che arriva fa un fischio, ok?». Riesce a scherzare Federico, che ha 22 anni e lo zaino gonfio come le borse che gli piombano gli occhi. Questa la chiamano la «banchina della felicità». Studenti iscritti all’università a Milano, centinaia di lavoratori sfibrati da anni di doppi spostamenti mattina-sera. Il popolo dei pendolari è qui e partecipa alla clonazione del proprio destino: l’attesa. Sul binario 7 è partito (in ritardo) il 7.02. Lo spazio all’uscita della scala che dal tunnel porta ai treni è finalmente vuoto: adesso tocca al 10760, Bergamo-Milano via Carnate.
Per misurare la qualità del servizio ferroviario un buon indicatore è ancora la quantità di lettere di protesta che arrivano nelle redazioni dei giornali. Ma non basta. E allora siamo qui: taccuino, e una dose di buon senso. Perché gestire 1.900 km di rete, 17 linee, 2.300 treni al giorno nella regione più mobile d’Italia, con i suoi 740mila passeggeri, è complesso, e lo è ancor di più nelle settimane successive a un deragliamento. La rotaia killer di Pioltello, tre morti e decine di feriti per l’assurdità di una zeppa di legno trovata sotto il giunto di un binario rattoppato. Però è anche vero che l’efficenza del servizio pubblico, in Lombardia come altrove, dovrebbe essere garantita a chi, oltre alle tasse, per viaggiare paga un biglietto.
«Non superare la linea gialla». Al binario 1 non c’è un metro libero, la linea a terra è coperta da scarpe, zaini, cartelle, borsoni. Il flusso di passeggeri aspetta di salire sul regionale che, dopo il “ritardo accademico” – oggi solo 6 minuti, va di lusso – lascerà Bergamo alla volta di Milano-Porta Garibaldi. I pendolari, questi resilienti. Arrabbiati, rassegnati, orgogliosi. Se in Lombardia ci sono 25 comitati di pendolari per 17 linee ferroviarie qualcosa vorrà dire. «I treni sono un problema molto sentito e al quale non vengono date risposte adeguate – ragiona Dario Balotta, ferroviere, 30 anni di sindacato, dieci di Legambiente –. Da nessun’altra parte al mondo ci sono così tanti comitati: fanno le stesse battaglie da 40 anni. E non è cambiato niente». Nei giorni scorsi, Repubblica ha percorso alcune delle tratte ritenute più critiche dai viaggiatori lombardi: per le condizioni di trasporto, per i ritardi. Tutte gestite da Trenord, la società nata nel 2011 dall’unione tra Trenitalia e Ferrovie Nord. Milano-Lecco. Milano-Bergamo. Bergamo- Brescia. Milano- Piacenza.
«Chi prima sale meglio alloggia», dice Vittorio Barzon, studente di Fisica, Bergamo-Milano tutti i giorni dal 2012. Treno delle 7.16. Sale a Verdello alle 7.27: si sta già in piedi. «È un caos. Vedrai stasera, al rientro da Lambrate». Confermiamo. Stessa situazione sul 18.43 e sul 19.13. «Le macchine non bastano. D’inverno spesso fa freddo, l’aria calda non va. E d’estate fa caldo, zero aria condizionata». Che il “materiale rotabile” non sia tra i più accoglienti si vede: carrozze sovraffollate, sedili sporchi e sgualciti, porte automatiche che si aprono a intermittenza. Arianna Ballabio è una cliente del Milano-Lecco. «Sono gli stessi treni di 30 anni fa. La sera c’è da avere paura», dice.
Molti pendolari tengono un diario di viaggio: appuntano il cumulo dei ritardi. Se Trenord non rispetta l’indice di affidabilità o standard minimo per ogni direttrice, scatta il bonus- sconto del 30% sull’abbonamento del mese successivo. Stefano Lorenzi, Comitato pendolari bergamaschi, è un apripista: due anni fa ha preso a campione il mese di gennaio del Mi-Bg da Ponte San Pietro a Porta Garibaldi. Ha incrociato i suoi orari e quelli proclamati dal gestore. «In 13 viaggi di andata e 12 di ritorno ho accumulato 3 ore e 33 minuti di ritardo su 24 ore e 13 minuti di viaggio previsti». Per Trenord, che sul sito annuncia «l’85,6% di puntualità», se il ritardo è inferiore ai 5 minuti il treno è «puntuale». Lorenzi ha fatto i conti: «Su 13 viaggi per Milano, il treno è arrivato puntuale 5 volte».
Sara, 23 anni. Studia Biotecnologie mediche al San Gerardo di Monza. Sale a Ponte San Pietro alle 6.46. A Monza, dove dovrebbe arrivare alle 7.30, ha una navetta alle 7.45. «Spesso la perdo. I ritardi peggiorano anche per le discussioni tra i controllori e i passeggeri senza biglietto: e il treno deve aspettare la polizia». Sulle altre tratte esaminate non è molto diverso. Marco Argenti, bergamasco, lavora a Unicredit: va a Brescia in treno da 20 anni. «Il dramma di questa linea è il binario unico: se un treno è in ritardo, l’altro aspetta». Con noi viaggia Giuliano Rota che frequenta il conservatorio. «Mettono treni piccoli in orari “caldi”, e viceversa. Basterebbe guardare il flusso di passeggeri per capire». Se poi da Brescia devi andare a Parma, meglio che diventi zen. «I treni hanno 40 anni e manca l’elettrificazione – dice Dario Balotta –. Due ore per fare 100 chilometri. Incredibile».
Altra linea da pollice verso: Milano- Piacenza. Saliamo. Freddo cane. Nigel Losi, 24 anni, fa il Politecnico. «Fosse solo la temperatura... Il problema è che saltano le corse. Al ritorno, dopo le 17 o le 18, stai in piedi per quasi tutta la tratta». È così. A Milano arriviamo con 7 minuti di ritardo. C’è Ettore Fittavolini, 58 anni di cui 36 passati in treno per andare a lavorare. «Parto da Piacenza alle 6.29 e arrivo a Rogoredo alle 7.20. Salgo sugli stessi treni da 40 anni: sono quelli che prendeva mio padre. Che partono e arrivano in ritardo. Hanno solo riverniciato le carrozze. Lo chiamano revamping.
Ma se una macchina è marcia, anche se la ridipingi non cambia niente». La conclusione di Fittavolini è questa: «Non pui destinare il 90% degli investimenti all’alta velocità, che ha il 10% del totale dei passeggeri, e il 10% ai treni locali che ne trasportano il 90%». Già. Perché stupirsi dei ritardi?