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 2018  febbraio 16 Venerdì calendario

Ramaphosa giura e ora ha un anno per compiere un miracolo

Le dimissioni di Jacob Zuma, il peggiore dei tre presidenti che il Sudafrica democratico ha avuto, appaiono un punto d’arrivo. La fine di una crisi lunghissima che ha visto il più ricco e potente Paese dell’Africa australe progressivamente impoverito, screditato, in preda a una guerra per bande e declassato in maniera umiliante dalle agenzie di rating.
In realtà le dimissioni sono soltanto un inizio. Il nuovo presidente Cyril Ramaphosa ha davanti a sé un compito difficile. Deve ricostruire la fiducia di milioni di sudafricani e quella degli investitori internazionali, due obbiettivi che sembrano in aperto contrasto. Non ha molto tempo: le elezioni si terranno l’anno prossimo e il suo partito, l’African national congress, che fu un tempo guidato da Nelson Mandela e ha sempre governato il Sudafrica dalla fine dell’apartheid, rischia un’emorragia di voti.
Cyril è la persona giusta per provarci. La sua biografia sembra raccontare la storia di due persone diverse e incompatibili: quella del sindacalista che riuscì ad accelerare il crollo dell’apartheid alla guida di milioni di minatori in sciopero; e quella dell’uomo d’affari di successo, diventato uno dei più ricchi del Paese, garante della compatibilità dell’economia sudafricana con le esigenze del capitalismo internazionale. È il solo che possa ancora vantare una passata familiarità con i padri fondatori della democrazia sudafricana ed essere gradito ai consigli d’amministrazione delle multinazionali minerarie. Nelle ore delle ingloriose dimissioni di Zuma sembra stia riuscendo ancora una volta a conciliare l’inconciliabile: il Sudafrica dei disoccupati, dei diseredati, dei contadini senza terra vede in lui un’opportunità; e il rand, la moneta nazionale che nell’ultimo biennio di Zuma era precipitato ai minimi, ha preso ad apprezzarsi. Ma il futuro è carico di scelte dolorose e difficili.
La prima decisione che Ramaphosa ha dovuto prendere è stata se subentrare immediatamente a Zuma o aspettare di giocarsi la successione alle elezioni, affidando per i prossimi mesi la poltrona di capo dello Stato e del governo a una figura di transizione. Come vicepresidente, la Costituzione gli lasciava aperte entrambe le strade. Il dilemma è stato risolto in meno di 24 ore: Ramaphosa ha giurato ieri, assumendo la pienezza dei poteri.
Così si è chiusa la fase più facile. La prossima consisterà nel mostrare con i fatti una volontà ferrea di lotta alla corruzione: bonificando le aziende pubbliche trascinate sull’orlo della bancarotta da ruberie e clientelismo, a cominciare dall’energetica Eskom e dalle South African Airways; istigando il Parlamento a varare una legislazione draconiana e i tribunali ad applicarla; portando a compimento cause che si trascinano da anni, come quelle in cui è coinvolto Jacob Zuma; troncando ogni legame tra il partito, lo Stato e l’affarismo che ha avuto libero corso negli ultimi anni. Cyril ha già molti nemici e altri se ne dovrà fare presto.
Intanto, incitati dall’opposizione populista a prendersi con le proprie mani la ricchezza che è stata loro negata, a cominciare dalle terre di proprietà dei bianchi, milioni di sudafricani poveri rumoreggiano. Delusi da un quarto di secolo di governo democratico che non ha dato loro il benessere annunciato, tra un anno potranno prendersi una rivincita alle urne. Cyril Ramaphosa ha dodici mesi per fare un miracolo.