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 2018  febbraio 16 Venerdì calendario

Ora ci sono le prove: il mais Ogm non è nocivo

Maggiormente produttivo. Ma soprattutto meno insidioso per la salute dell’uomo e dell’ambiente. Ha il valore di un’assoluzione in Cassazione, l’esito di una revisione di studi pubblicata da quattro ricercatori dell’Università e della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa sulle colonne di «Scientific Reports», rivista del gruppo «Nature». Secondo gli scienziati, che hanno passato in rassegna 64 ricerche, «le conclusioni aiutano ad aumentare la fiducia nei confronti del cibo prodotto con piante geneticamente modificate». Un messaggio di elevato valore scientifico che giunge proprio dall’Italia, in cui la loro coltivazione è vietata: non l’importazione però. Discorso analogo riguarda la ricerca, in materia: osteggiata, per usare un eufemismo.
No rischi per la salute
La notizia è il prodotto finale di un lavoro condotto per oltre due anni da quattro ricercatori: Laura Ercoli, Elisa Pellegrino, Stefano Bedini e Marco Nuti. È partita da loro, alle pendici della Torre, l’idea di valutare in maniera complessiva l’esito delle ricerche condotte praticamente in tutto il mondo nell’arco di vent’anni: quelli trascorsi tra l’inizio della coltivazione del mais transgenico e il 2016, in cui s’è concluso il lavoro. Per quantità e qualità dei dati esaminati, la revisione di diversi studi è la più solida nelle conclusioni. E restituisce all’intera comunità – non soltanto scientifica, ma pure politica e sociale – un messaggio rassicurante: il mais Ogm non comporta rischi per la salute umana, animale e ambientale. Il cereale geneticamente modificato emerge come più produttivo, privo di conseguenze sugli organismi non colpiti della modificazione genetica e con concentrazioni minori di micotossine e fumonisine: contaminanti contenuti negli alimenti e nei mangimi, responsabili di fenomeni di tossicità acuta e cronica. La diminuzione di tali sostanze nella granella è il preludio di un ridotto rischio per la salute, se si considera che la loro assunzione è stata posta in relazione con l’insorgenza di difetti del tubo neurale (sviluppo incompleto del sistema nervoso centrale) e del tumore dell’esofago (i suoi numeri sono più alti dove si consumano maggiori quantità di mais).
Positività per l’ambiente
La questione ambientale è un altro dei punti delicati della vicenda Ogm. Il compendio ha invece dimostrato performance identiche al mais tradizionale: in termini di perdita di peso tra i fusti e le foglie, emissione di anidride carbonica dal suolo ed effetti (nulli) sugli insetti che non rappresentano la causa della modificazione genetica. Il mais Bt – che è l’unica varietà di Ogm coltivabile in Europa: dove si adoperano però soltanto la Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania – viene prodotto mediante l’inserimento di un gene che, determinando la produzione di una tossina, danneggia gli insetti che cercano di nutrirsene. In questo modo si può aumentare la resa – altro aspetto emerso dal dossier, tutt’altro che secondario: lo scorso anno l’importazione di mais è costata all’Italia oltre un miliardo di euro – ed evitare la formazione delle fumonisine, visto che la loro sintesi risulta di gran lunga inferiore senza l’attacco degli insetti. «Non entriamo nel merito della discussione politica, ma i risultati ottenuti sono robusti e soprattutto frutto di una ricerca portata avanti soltanto coi nostri fondi», commentava iersera Laura Ercoli, docente di agronomia e coltivazioni erbacee alla Scuola Superiore Sant’Anna. Parole che fanno riecheggiare quelle pronunciate dalla Corte di Giustizia Europea, che a settembre aveva tirato le orecchie ai Paesi che vietano la coltivazione di piante geneticamente modificate «a meno di un’evidenza significativa sul serio rischio alla salute umana, animale e ambientale». Nel mondo sono 185 milioni gli ettari coltivati con piante Ogm (non solo mais): distribuiti in 26 Paesi. A guidare il fronte: Stati Uniti, Brasile, Argentina, Canada e India.
Twitter @fabioditodaro