La Stampa, 16 febbraio 2018
Nikolas Cruz. Quel killer emarginato da tutti che si addestrava coi suprematisti
«Io diventerò uno sparatore professionale nelle scuole». Il 24 settembre scorso Nikolas Cruz aveva messo questo messaggio su YoutTube. Ben Bennight, un uomo del Mississippi che di mestiere paga le cauzioni per i criminali, lo aveva notato e aveva avvertito l’Fbi: «Gli agenti erano venuti a casa, avevano raccolto tutte le informazioni ed erano andati via». Non avevano fatto nulla, però: non erano riusciti ad identificare l’autore del messaggio, e non avevano passato l’informazione alla polizia locale di Parkland, che magari un’idea l’avrebbe avuta.
Questa occasione persa di fermare Cruz, a cui ne era seguita poi un’altra, è l’ultimo tassello di una vita che si rivela sempre più intricata, inclusa la rivelazione dell’Anti Defamation League secondo cui il killer della Marjory Stoneman Douglas High School aveva fatto addestramento paramilitare con la milizia suprematista bianca «Republic of Florida». La polizia di Tallahassee ha poi smentito di aver trovato legami organici con la milizia, mentre il suo leader Jordan Jereb ha detto che l’aggressore ha agito di propria iniziativa. Come tutti questi segnali siano sfuggiti, e come Nikolas abbia potuto acquistare legalmente un mitra da guerra, è il mistero a cui l’America deve trovare risposta, se vuole evitare che queste tragedie si ripetano.
Nik è nato 19 anni fa, e il giorno stesso in cui era venuto al mondo era stato adottato insieme al fratello Zachary da Roger e Lynda Cruz, una coppia di Long Island avanti con gli anni. Poco dopo la famiglia si era trasferita in Florida, dove lui lavorava nella pubblicità e lei faceva la casalinga. Abitavano in quartiere ricco, ma Roger era morto per un attacco di cuore quando i figli erano ancora piccoli. Lynda era stata costretta a cambiare casa e faticava a crescere i ragazzi: «Spesso – ha raccontato una vicina – chiamava la polizia per mettere loro paura e spingerli a comportarsi bene». I risultati però erano scarsi: un vicino aveva visto Nik che rubava una bici da un garage, un altro si era lamentato perché gli tirava le uova sull’auto, una ragazza lo aveva allontanato perché spiava dalla sua finestra. Secondo alcuni, a Cruz era stato diagnosticato l’autismo: di sicuro aveva ricevuto aiuto e forse un ricovero per instabilità mentale.
A scuola era un emarginato tra gli emarginati: «Sembrava strano, pericoloso». Alla Stoneman Douglas c’era un posto speciale dove si riunivano gli studenti strani, chiamato Emo Gazebo. Neppure là, però, lo avevano accettato: «Girava sempre da solo, senza amici. Una volta si era messo a urlare in classe». Era fissato con le armi, e le portava a scuola: «Si vantava di ammazzare gli animali, rane, scoiattoli, i polli di un vicino». Aveva frequentato le classi del programma Rotc, per diventare ufficiale dell’esercito, e sperava di fare il militare. Alla fine aveva trovato una ragazza, ma lei lo aveva lasciato, ed era preoccupata perché lui la pedinava. I suoi post sui social, Instagram in particolare, erano spesso agghiaccianti. Inneggiava anche ai terroristi islamici. Qualcuno dice di averlo visto con un cappello di Trump; i siti complottisti scrivono invece che era comunista e democratico.
L’anno scorso era stato espulso dalla scuola, ma sul motivo ci sono tre versioni diverse: aveva picchiato il nuovo fidanzato dell’ex ragazza, aveva portato coltelli in classe; avevano scoperto proiettili nel suo zaino. Di sicuro aveva minacciato i colleghi.
Lasciata la scuola, aveva trovato lavoro in un negozio Dollar Tree, dove il manager lo ha descritto come «una persona riservata, ma non pericolosa». La sua vita però aveva iniziato davvero a crollare il primo novembre scorso, quando la madre Lynda si era ammalata di influenza, diventata poi polmonite, ed era morta. Lui era stato ospitato a casa di amici, ma non si trovava bene, e quindi aveva chiesto alla famiglia di un ex compagno di classe di accoglierlo. Jim Lewis, avvocato di questa famiglia, ha detto che si era trasferito a Thanksgiving: «Aveva portato con sé il fucile AR-15, che aveva comprato legalmente un anno prima, superando tutti i controlli. Lo avevano chiuso dentro un armadio per le armi, ma lui aveva la chiave». Mercoledì lo ha aperto ed è andato a scuola a fare una strage.
Ieri è comparso davanti al giudice in manette e tuta arancione. Senza alcuna espressione sul volto, ha ascoltato l’incriminazione. L’avvocato ha detto che è triste, a rischio suicidio, e ha sofferto tutta la vita per una malformazione al cervello. È incredibile come tutto questo sia potuto sfuggire.