il Fatto Quotidiano, 16 febbraio 2018
Il Sarchiapone
Quando B. firmò il primo “Contratto con gli italiani” (peraltro ignari di tutto) sulla scrivania in noce di Bruno Vespa, nel maggio del 2001, Roberto Benigni disse a Enzo Biagi che la scena era più divertente del Sarchiapone di Walter Chiari e Carlo Campanini. L’altra sera l’anziano insetto e il decrepito Caimano, a Porta a Porta, hanno concesso il bis, riesumando pure l’antico scrittoio ad personam. Come i vecchi guitti dell’avanspettacolo che, per strappare qualche applauso stentato, andavano di repertorio. Gli impegni assunti dall’ometto di Stato dinanzi al suo notaio personale è inutile dirlo, visto che i contratti bisogna essere almeno in due per siglarli, e questi fantomatici “italiani” non hanno firmato nulla. E visto, soprattutto, l’esito miserevole delle promesse del 2001. Alcuni compiacenti professori dell’Università di Siena garantirono che il Contratto primigenio era stato rispettato per quattro punti e mezzo. In realtà nessuno dei cinque punti fu minimamente onorato (aspettate qualche giorno e nel libro “B. come basta!” lo dimostrerò), così come il giuramento finale di ritirarsi a vita privata nel caso in cui almeno quattro dei cinque punti non fossero divenuti realtà.
Un solo esempio: la promessa del “dimezzamento dell’attuale tasso di disoccupazione con la creazione di almeno 1,5 milioni di nuovi posti di lavoro”. Per poter dire di essere giunto a un milione di nuovi occupati, il pover’ometto calcolò pure i 630 mila extracomunitari irregolari regolarizzati con la grande sanatoria del 2002 seguita alla legge Bossi-Fini. Purtroppo quei lavoratori lavoravano già prima, in Italia, dunque non erano nuovi posti di lavoro, ma vecchi emersi dal sommerso. La prova migliore del totale fallimento è che oggi B. ripromette le stesse promesse non mantenute nelle sei precedenti campagne elettorali. L’unica differenza fra la gag del 2001 e quella dell’altra sera è che Vespa è un tantino più abbronzato, mentre B. è molto più capelluto. Ma anche molto più rintronato. L’altroieri Tommaso Rodano ha raccontato i suoi delirii alla Confcommercio. Il Cainano ha intrattenuto i commercianti con uno show irresistibile sugli strepitosi successi dei suoi tre governi. Tipo questo: “Ho portato le pensioni minime a mille lire. E allora bastavano, per arrivare alla fine del mese”. Purtroppo la canzone “Se potessi avere mille lire al mese” di Gilberto Mazzi risale al 1939, quando B. aveva appena tre anni e fortunatamente non governava. Allora mille lire al mese bastavano e avanzavano, ora non più, anche perché chissà se l’ha saputo, ma dal 2002 c’è l’euro.
Però l’anziano intrattenitore ora promette l’abolizione dell’Irpeg (l’imposta sul reddito delle persone giuridiche, sostituita nel 2004 dall’Ires), confondendola con l’Irap (imposta sulle attività produttive, che lui promette di abrogare da una vita, infatti è sempre lì). Poi parla di una non meglio precisata “flat task”, che poi sarebbe la flat tax, ma a lui la parola “tassa” proprio non esce di bocca. Ed ecco la sua lucida analisi dell’economia in nero, cui lui peraltro contribuisce alla grande fin dagli anni 80, con 64 società estere del comparto B della Fininvest: “Il Pil emerso è 1.600 euro, il Pil sommerso è 800 mila euro”. Qui si nota lo sforzo di passare all’euro, ma anche un concetto un po’ approssimativo del cambio. Meraviglioso il passaggio sugli immigrati: “Ci sono 630 mila clandestini. Questi signori non hanno altro modo per vivere che commettere reati”. Quindi gli somigliano. E non solo: “Quando vanno negli appartamenti, per prima cosa svaligiano il frigorifero. Una signora aveva mezzo litro d’olio, si sono bevuti anche quello. Ho detto alla signora: ‘L’avranno messo in una boccetta’. No, dice, hanno trovato le impronte di olio delle labbra”. Chissà che gli ha detto, quella brava donna. E chissà dove avrà preso, il lucidissimo statista, la cifra di 630 mila clandestini: l’unico dato analogo è quello della sua mega-sanatoria di 15 anni fa, quando appunto il suo governo, anche con i voti della Lega, ne regolarizzò 630 mila. Ora andrà a cercarli uno per uno per comunicare personalmente che aveva scherzato.
Siccome la platea dei commercianti è soprattutto maschile, non manca una captatio benevolentiae per soli uomini: “Un sondaggio sull’elettorato animalista dice che il 73% delle mogli preferisce il cagnolino al marito”. Figurarsi l’entusiasmo di tutti i mariti in sala. L’ultima gag è l’annuncio di uno dei ministri del suo prossimo governo (che poi nessuno sa chi lo presiederà, perché lui non può votare né essere eletto, e ha deciso di nasconderci il nome del nuovo premier “fino al 4 marzo”, anche perché non l’ha ancora avvertito): “È Carlo Cottarelli, gli potremmo affidare una commissione o addirittura un ministero della spending review. L’ho sentito lunedì al telefono, mi ha ringraziato e mi ha detto di essere disponibile”. Ma deve aver sbagliato numero e chissà chi gli ha risposto. Non certo Cottarelli, che infatti ha subito smentito: “Ringrazio i partiti che mi hanno contattato, ma vorrei chiarire di non aver dato la mia disponibilità a nessuno schieramento a partecipare a un futuro governo”. Lo stesso era accaduto con il suo candidato premier, il generale in pensione dei carabinieri Leonardo Gallitelli, annunciato in tv, ma purtroppo ignaro di tutto (“Non sento Berlusconi da anni”). Alla fine, e proprio perché era giunta la fine, i commercianti sollevati hanno sommerso il nonnetto con un mare di applausi. E il bello è che le tv e i giornaloni hanno creduto che fossero applausi di consenso, infatti hanno benevolmente sorvolato su quelle gaffe da Guinness. Non sia mai che la gente poi capisca che il salvatore dell’Italia dai “populisti incompetenti” è completamente rincoglionito.