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 2018  febbraio 16 Venerdì calendario

Barrick, gigante dell’oro sul viale del tramonto. Il declino della produzione è un rischio per tutto il settore

È stata per oltre dieci anni la regina dell’oro, ma Barrick Gold ha perso lo scettro, superata sia per capitalizzazione sia – molto probabilmente – per produzione dalla rivale statunitense Newmont Mining. Tra le ragioni del declino della società di Toronto ci sono dispute con i governi di Cile e Tanzania, che hanno fermato lo sviluppo di miniere. Negli ultimi anni inoltre il management ha imposto tagli pesanti pur di migliorare la cassa e ridurre i debiti. Ma la parabola di Barrick evidenzia anche un problema che minaccia l’intero settore aurifero: le estrazioni di oro stanno diminuendo.
Sono state le previsioni sulla produzione l’aspetto che ha colpito di più alla presentazione della trimestrale del gruppo: Barrick ha abbassato di 300mila once il target per il 2018, a 4,5-5 milioni di once. L’output – già in calo da otto anni – dovrebbe inoltre continuare a ridursi, ha avvertito la società, portandosi a 4,2-4,6 milioni di once l’anno tra il 2019 e il 2022. Dopo la fusione con Placer Dome, che nel 2005 l’aveva proiettata al primo posto tra i big dell’oro, Barrick estraeva oltre 8 milioni di once d’oro all’anno.
Il nuovo astro nascente, benché non del tutto immune da difficoltà, è Newmont: la società Usa, che comunicherà i risultati la prossima settimana, capitalizza 20,8 miliardi di dollari a Wall Street, contro i 19,3 miliardi di Barrick (che in 12 mesi ha perso un terzo del valore sul listino di Toronto) e per il 2018 ha indicato una produzione attesa di 4,9-5,4 milioni di once.
Molti esperti sono convinti che anche a livello globale la produzione mineraria di oro sia avviata al declino, a causa del crollo delle scoperte di nuovi depositi, che a sua volta dipende in parte dai minori investimenti in esplorazioni.
Nel 2017 sono state estratte 3.268,7 tonnellate del metallo, appena lo 0,2% in più rispetto al 2016, secondo il World Gold Council. È la performance peggiore dal 2008, anche se all’origine c’è soprattutto la chiusura di miniere in Cina per motivi di tutela ambientale.
Nel caso di Barrick Gold molto ha influito il disastroso progetto di Pascua Lama, la maxi-miniera di oro e argento, a 4.500 metri di altezza sulle Ande, il cui sviluppo è stato fermato da una sentenza nel 2013. Il governo cileno un mese fa ha ordinato la chiusura definitiva e lo smantellamento delle opere finora realizzate, costringendo Barrick a optare per uno scavo sotterraneo anziché a cielo aperto.
Il cambio di programma, unito all’effetto di alcune dismissioni, ha ridotto le riserve aurifere di Barrick del 25% a 64,5 milioni di once e ha avuto un effetto pesante sui risultati. Per Pascua Lama e per Acacia Mining (partecipata al centro di una disputa in Tanzania) la società aurifera ha effettuato svalutazioni per 908 milioni di dollari, chiudendo il quarto trimestre con una perdita netta di 314 milioni. L’utile adjusted, in linea con le attese, è stato di 253 milioni.