15 febbraio 2018
APPUNTI SU ALITALIA PER GAZZETTA
Alitalia, Calenda ha incontrato commissari per punto situazione
Alitalia, Calenda ha incontrato commissari per punto situazione Sul processo di vendita Roma, 15 feb. (askanews) - Il ministro per lo Sviluppo economico, Carlo Calenda, a quanto si apprende, ha incontrato oggi i commissari straordinari dell’Alitalia per fare il punto sul processo di vendita della compagnia. Inizialmente l’incontro era previsto per lunedì prossimo. Red 20180215T185624Z
***
ALITALIA, DELRIO: PER ORA NO CONDIZIONI PER VENDERE (9Colonne) Roma, 15 feb - "Abbiamo sempre detto che avremmo concluso la vendita di ALITALIA quando avremmo avuto un’offerta all’altezza e prospettive di sviluppo, e al momento non ci sono queste condizioni. Le cose sono impostate in maniera molto seria, continuiamo a lavorare e il lavoro serio alla fine pagherà". Lo ha detto il ministro dei Trasporti Graziano Delrio, a margine del convegno di Enav sul trasporto aereo. (Sis) 151812 FEB 18
***
IL POST –
Secondo le statistiche di un sito che si occupa di traffico aereo, nel mese di gennaio Alitalia è stata la compagnia aerea più puntuale al mondo fra quelle che lavorano su scala internazionale. I dati sono stati messi insieme da Flightstats, un sito curato dalla rivista di aeronautica FlightGlobal. I voli effettuati da Alitalia lo scorso mese sono arrivati puntuali nel 91,89 per cento dei casi. Al secondo posto in questa classifica c’è Qatar Airways, con un tasso di puntualità dell’87,88 per cento. Altre prestigiose compagnie europee come Lufthansa e Turkish Airlines sono più indietro, rispettivamente con l’82,96 e il 72,03 per cento.Non è la prima volta che Alitalia ottiene risultati del genere: nei primi mesi del 2017, ad esempio, era risultata la terza compagnia europea più puntuale dopo Iberia e Austrian Airlines. In generale in tutto il 2017 ha tenuto percentuali di puntualità molto alte, spesso superiori all’80 per cento. Alitalia è la principale compagnia aerea italiana, ma è da tempo in gravi difficoltà finanziarie per via di scelte azzardate e superficiali sia da parte della dirigenza sia del governo, che detiene ancora alcune quote tramite le Poste (uno dei principali azionisti della società). Il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda ha detto di voler risolvere la questione entro la fine del suo mandato e da mesi sta cercando possibili acquirenti.
***
LEONARD BERBERI, CORRIERE.IT –
La più puntuale del mondo, nonostante i travagli di questi mesi. La piattaforma specializzata FlightStats calcola che nel mese di gennaio 2018 Alitalia, l’ex compagnia di bandiera italiana, è stata quella che ha fatto atterrare in tempo (cioè con non più di 14 minuti di ritardo rispetto all’orario stabilito) il maggior numero di voli: quasi 92 su 100 — sui 14.801 operati dal vettore nei trentuno giorni del primo mese dell’anno. Il restante 8,11% è invece giunto a destinazione con un ritardo maggior di un quarto d’ora.
Le inseguitriciA leggere la classifica consolidata di gennaio 2018, la società tricolore — dal 2 maggio scorso in amministrazione straordinaria — stacca la diretta inseguitrice, Qatar Airways, che si classifica al secondo gradino della puntualità con l’87,88% dei collegamenti fatti arrivare in tempo. Terzo posto per la sudafricana South African Airways (87,47% di puntualità). Fuori dal podio la spagnola Iberia (86,73%), l’austriaca Austrian Airlines che fa parte del gruppo Lufthansa (86,66%), l’olandese Klm (86,13%), l’emiratina ed ex co-proprietaria di Alitalia, Etihad (85,75%), l’australiana Qantas (84,63%) e la brasiliana Latam Airlines (83,96%). Subito fuori dalle prime 10 Lufthansa, undicesima, con l’82,96% dei voli in orario, 18esima Air France con 80,98%. La «peggiore» di gennaio è risultata Air India: solo 52 voli su 100 sono giunti in tempo.
easyJet-Air France-Klm-Delta in poleIntanto vanno avanti i contatti tra i tre commissari straordinari di Alitalia e i potenziali acquirenti della compagnia. La partita è a due: da un lato una cordata tra la low cost inglese easyJet, i franco-olandesi di Air France-Klm, l’americana Delta Air Lines e forse il fondo statunitense Cerberus. Dall’altro lato il gruppo Lufthansa che, però, ha posto diverse condizioni al management tricolore prima di sottoscrivere un impegno formale. Condizioni che — come anticipato dal Corriere della Sera lo scorso 8 febbraio — vedono ora in pole position la cordata europea-americana che potrebbe chiedere ai commissari straordinari e al governo italiano (uscente) di avviare il negoziato in esclusiva.
***
LA REPUBBLICA –
Una cordata a quattro, con Air France, EasyJet, Delta e Cerberus, per acquistare Alitalia. A questo, secondo quando si apprende, si sta lavorando nelle trattative in corso per la vendita della compagnia italiana.
L’ipotesi sarebbe una delle strade che si stanno vagliando in questa fase di approfondimento prima di autorizzare un negoziato in esclusiva. La cordata avrebbe chiesto di fissare un incontro con i commissari per la prossima settimana, probabilmente il 22.
***
IL SOLE 24 ORE –L’indennità di volo “ex ristrutturazione”, finisce nel mirino dei commissari di Alitalia che intendono conseguire risparmi sul costo del lavoro - in parallelo con la crescita di ricavi attesa tra il 4-5% nel primo trimestre 2018- per migliorare i conti aziendali.
Nella procedura negoziale in corso, i candidati che sulla carta sono sei (Lufthansa, Cerberus, easyJet, AirFrance, Delta, Wizz Air), restano in stand by, in attesa di conoscere l’esito delle elezioni. Ma la compagnia intende utilizzare questo lasso di tempo per affrontare una serie di criticità al tavolo con i sindacati. Ieri il capo del personale, Luciano Sale, ha incontrato i rappresentanti dei sindacati e delle associazioni professionali, per un confronto informale, dal carattere interlocutorio, sul contratto che è stato prorogato al 28 febbraio. Sullo sfondo c’è il destino dell’indennità di volo, introdotta nel 2009 dalla Cai, per assicurare una retribuzione lorda pari al 93% di quanto percepito nella vecchia Alitalia. Trattandosi di un’indennità non contrattualizzata, l’azienda vorrebbe toglierla o rivederla, con l’obiettivo di conseguire risparmi sul costo del lavoro.
Al tavolo si è affrontato il tema delle comunicazioni dei congedi parentali; con la summer 2018 alle porte, la compagnia non vuole correre il rischio di avere problemi nella composizione degli equipaggi. Per assicurare equipaggi al completo, inoltre, l’azienda vuole impiegare sui voli di Alitalia una parte dei piloti provenienti dalla regional CityLiner. Altro capitolo al tavolo è la Cigs che scadrà il 30 aprile, e riguarda l’equivalente di 1.600 dipendenti, di questi 317 in cigs a zero ore; i sindacati chiedono vengano riqualificati per ricollocarli in azienda.
Ma il futuro di Alitalia è entrato ufficialmente nella campagna elettorale, dopo che il leader della Lega, Matteo Salvini, ha detto che «faremo di tutto affinchè una compagnia di bandiera come Alitalia non venga venduta o svenduta a qualche multinazionale o a una compagnia straniera». La risposta, è arrivata dal ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda: «Direi che la metamorfosi della Lega verso movimento autarchico è compiuta -ha detto-. Salvini per Alitalia compagnia di bandiera e dunque a spese dei cittadini. Saranno contenti piccoli imprenditori, artigiani e contribuenti. Altri 8 miliardi di soldi loro». Il futuro della compagnia, dunque, pare legato a chi vincerà le prossime elezioni; in questo quadro è comprensibile che i candidati decidano di restare alla finestra, anche per evitare il rischio che possa ripetersi una situazione analoga a quella del 2008, quando l’arrivo di Air France sembrava imminente, ma la vittoria di Berlusconi cambiò lo scenario e prevalse la difesa dell’italianità (con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti).
Intanto prenderà il via il 14 marzo il processo d’appello alla gestione 2001-2007 di Alitalia che vede coinvolti quattro ex manager, tra i quali l’ex presidente-Ad Gianfranco Cimoli (condannato in primo grado a 8 anni e 8 mesi) e l’ex Ad Francesco Mengozzi (condannato a 5 anni). Ieri si è svolta la prima udienza in Corte d’Appello.
***
MARA MONTI, IL SOLE 24 ORE –Tutti in corsa per Alitalia, nessuna defezione: Lufthansa, Air France-Klm, easyJet, Delta, il fondo Cerberus e la new entry l’ungherese Wizz Air. Nessun passo indietro nella contesa di Alitalia che ha iniziato una settimana decisiva per il suo futuro riaprendo di fatto una nuova fase negoziale alla luce dei nuovi soggetti interessati al dossier. I commissari ieri hanno incontrato i ministri Del Rio e Calenda, domani voleranno a Francoforte per gli approfondimenti con Lufthansa e giovedì incontrano i manager di Air France-Klm. Una ridda di incontri che fanno seguito a quelli già avuti la scorsa settimana ad Atlanta con Delta e a New York con gli uomini di Cerberus.
Il fondo americano che appariva spiazzato dopo la rottura dell’alleanza con easyJet, al momento non sembra volere arretrare sull’offerta già presentata di acquisire nella sua totalità il vettore italiano con l’obiettivo di costituire una holding nella quale fare confluire sia lo Stato attraverso Cdp sia i sindacati. Sul piatto avrebbero messo fino 400 milioni di euro, cifra tuttavia mai confermata dal fondo di private equity. Per Cerberus resta il nodo della quota di capitale che non può superare il 49% essendo un soggetto extra Ue. Ha quindi bisogno di un partner europeo che aveva trovato in easyJet, ma il “fidanzamento” non ha funzionato.
I commissari si sarebbero spesi per convincere il fondo a rimanere nella partita convinti che un partner finanziario accanto a quelli industriali potrebbe essere funzionale allo sviluppo di Alitalia, specialmente sul fronte internazionale. Ed è proprio su questo fronte che si punta per il rilancio della compagnia. Non solo Delta Air Lines è stata giocata in questo contesto: per la compagnia americana il mercato italiano è il nono per importanza e vale 3,2 miliardi di dollari. Anche Air France-Klm presenta un profilo di respiro internazionale avendo nel suo capitale Delta Air Lines con il 10% e China Eastern Airlines con un altro 10 per cento. A sua volta la compagnia franco-olandese ha acquisito il 31% di Virgin Atlantic (dove Delta controlla il 49%) sborsando 220 milioni di euro. Un impegno importante per una rete di alleanze commerciali e societarie che legano i vettori tra loro a doppio filo nel netrwork che va dagli Stati Uniti, passando dall’Europa fino alla Cina.
Per Air France-Klm la nuova alleanza ha segnato il punto di svolta dopo anni di difficoltà finanziarie: nel 2017 in Borsail titolo ha fatto il botto segnando +162,5%, l’incremento più forte davanti a Lufthansa che ha archiviato l’anno con +150,4 per cento. Un anno d’oro per i vettori europei complici, ancora una volta, il basso prezzo del carburante e l’aumento del traffico aereo che la Iata stima ancora in crescita nel 2018, quanto basta per sistemare i bilanci delle compagnie aeree: nei primi nove mesi del 2017, Air France-Klm ha messo a segno un aumento del fatturato del 4,1% rispetto allo stesso periodo del 2016 con una accelerazione nel secondo trimestre del 5,5 per cento. Crescono il numero di passeggeri trasportati, gli utili netti si sono attestati nei primi nove mesi a 703 milioni di euro, con un indebitamento in calo.
La stampa francese ha fatto notare che da quando sono circolati i rumors di un coinvolgimento di Air France in Alitalia il titolo ha perso in Borsa il 6%. Non ha fatto meglio Lufthansa che da inizio anno è arretrato del 5,1 per cento. Sono gli unici titoli tra i grandi vettori europei quotati a registrare una performance negativa: forse per i trader Alitalia rappresenta una buona scusa per vendere dopo il bottino del 2017.
***
TOBIA DE STEFANO, LIBERO –Quesito ai lettori che in questi anni hanno seguito con un certo interesse l’epopea di Alitalia: qualcuno era davvero convinto di rivedere i 900 milioni che nel 2017 lo Stato ha prestato all’ex compagnia di bandiera? O per essere più espliciti: qualcuno nutriva la speranza che non avrebbero fatto la stessa fine degli altri 7,4 miliardi che dal 1974 a oggi i contribuenti hanno bruciato sull’altare del vettore tricolore? Beh, i più ingenui (ma ce ne sono?) avranno un’amara sorpresa: a oggi, stante quel che è dato sapere sulle offerte in ballo, le speranze che i potenziali acquirenti si accollino il miliardo e passa di cui sopra (perché i 900 milioni scadono il 30 settembre e hanno un tasso di poco inferiore al 10%) sono davvero minime.
Ancora ieri i ministeri interessati prendevano tempo, «servono approfondimenti prima di procedere ad una negoziazione in esclusiva», ma pure Lufthansa, che può considerarsi il candidato più serio, non investirà più di 300 milioni. Anzi, metterà sul piatto 300 milioni solo in cambio di una profonda ristrutturazione del gruppo. In soldoni, il super amministratore delegato, Carsten Spohr, ha “scartato” le attività di handling (assistenza a terra) e ha chiesto con tanto di lettera al ministro Calenda il taglio di 2.100 lavoratori su 8.400 e una consistente sforbiciata sulla flotta, dei 120 aerei ne resterebbero 90. Si può fare? La risposta tocca al governo (ma quale? Visto che il 4 marzo si vota) e ai tre commissari, Luigi Gubitosi, Enrico Laghi e Stefano Paleari, che da maggio 2017 guidano la compagnia finita in amministrazione straordinaria.
Insomma, i tedeschi puntano a una mini-Alitalia, figurarsi se hanno intenzione di svenarsi per un prestito da 900 milioni che ne porta almeno altri 100 di interessi. «Del resto spiega a Libero Andrea Giuricin, docente di Economia dei trasporti all’Università Bicocca di Milano la trattativa sta andando troppo per le lunghe (a questo punto si chiuderà dopo le elezioni ndr). Più passa il tempo, più i commissari sono con l’acqua alla gola e più i potenziali acquirenti (ieri sono spuntati anche i nomi di Delta Airlines e Wizz Air) detteranno le loro condizioni. Allo stato attuale non credo che i contribuenti rivedranno i soldi che il governo ha prestato alla compagnia». Beh ci sono anche altre offerte? «L’ipotesi che Air France-Klm (i francesi per ora hanno smentito) entri in gioco mi sembra abbastanza remota, mentre i progetti di Easyjet (mette sul piatto meno di 100 milioni ndr) e del fondo Cerberus (che essendo un gruppo Usa potrà rilevare solo il 49%) non mi convincono».
E allora? Sarà pur vero come sottolineano i commissari che i ricavi crescono e che il prestito ponte non è stato sostanzialmente intaccato (?), ma è altrettanto certo che il periodo peggiore arriva adesso e che in assenza di numeri ufficiali conviene dubitare. «Gennaio e frebbraio continua Giuricin sono i mesi peggiori. Nel 2016 Alitalia ha perso 173 milioni e nel 2017 altri 181... Insomma con il carburante aumentato del 20% mi sembra difficile che nel 2018 le perdite non superino i 100 milioni».
E noi paghiamo. «Anche perché evidenzia a Libero il professore di Economia dei trasporti al Politecnico di Milano Marco Ponti non sappiamo nulla né sui conti del 2017 né tantomeno sui compensi destinati ai tre commissari. Un fatto abbastanza “strano” essendo a oggi Alitalia nuovamente un vettore che rientra nel perimetro dello Stato». Un altro schiaffo ai contribuenti che però potrebbero trovare un inatteso alleato nell’Unione Europea. «Sarei sorpreso conclude se Bruxelles desse il via libera al prestito, nel caso dovesse arrivare lo stop, l’Ue farebbe un bel regalo ai contribuenti».
***
UGO BERTONE, LIBERO – Nel 2008, a sostegno di un’Alitalia grande una volta e mezza quella attuale, come flotta e dipendenti, con un fatturato quasi doppio di quella attuale, il governo di allora concesse un prestito ponte di 300 milioni di euro. Nel 2017 si è attivato un meccanismo analogo, salvo per l’importo: 600 milioni poi cresciuti a 900. Più o meno negli stessi tempi, la Germania ha concesso un prestito ponte simile ad Air Berlin, vettore più grande di Alitalia, salvo per la cifra: 150 milioni, un sesto dell’importo anticipato dai contribuenti italiani, ma per un’operazione che si è chiusa nel giro di pochi mesi con l’acquisto da parte di Lufthansa per 210 milioni, cosa che ha permesso di restituire il debito allo Stato.
È assai difficile che il lieto fine possa ripetersi nella società italiana. Del resto, alcuni numeri servono a dimostrare che il prestito ponte concesso dal governo Gentiloni ha raggiunto una cifra “assurda” come ha sostenuto Ugo Arrigo. «Basti dire afferma il docente della Bicocca che nel 2008 i “capitani coraggiosi” pagarono per l’acquisto di Alitalia 1.052 milioni di euro, di cui tuttavia solo 427 per cassa (e a rate); invece nel 2014 Etihad assunse il controllo di Alitalia versando solo 388 milioni. In sostanza, i due successivi acquirenti privati di Alitalia hanno pagato in tutto 815 milioni per comprarsela due volte mentre il governo italiano ha speso 900 milioni in una volta sola e non per comprarla né rilanciarla bensì per venderla. A tale onere va aggiunta la cassa integrazione straordinaria per 1.600 dipendenti, con un costo annuo stimabile in ulteriori 80 milioni». Se ci basiamo sulle quotazioni di Borsa, invece, con 900 milioni si sarebbe potuto acquistare circa un quinto di Easyjet o di Air France-Klm, balzando così al primo posto tra gli azionisti davanti allo stato francese, oppure l’intera compagnia Norwegian, la prima low cost ad aver creduto nel lungo raggio.
Nel frattempo il “buco” della compagnia è ancora cresciuto e si avvia a superare la strabiliante cifra di 10 miliardi. Il conto è presto fatto. Si parte dai 7,4 miliardi di oneri a carico del sistema pubblico calcolati dall’ufficio studi di Mediobanca, stima che comprende le iniezioni di capitale, del prestito ponte del 2008, delle obbligazioni emesse dal Mef, della cassa integrazione e della partecipazione per 75 milioni delle Poste Italiane in occasione dell’aumento del 2013. Se si volesse tener conto di quanto bruciato dagli azionisti privati (capitani coraggiosi e Ethihad) possiamo salire di altri 2,4 miliardi. A questa cifra andrebbero poi aggiunti le perdite più recenti: ad ottobre, come riferito alla Camera da Luigi Gubitosi, Alitalia aveva perduto altri 31,3 milioni, un risultato riferito alla stagione estiva, cioè il periodo in cui le compagnie guadagnano di più.
Ma il dato non vale per la compagnia italiana che, sottolinea Arrigo esaminando i conti del 2016, «non è invece riuscita, a differenza dei concorrenti, a ridurre i costi del carburante, ingessati da contratti sfavorevoli, ma ha dovuto egualmente ridurre i prezzi a causa della concorrenza sul mercato, peggiorando di conseguenza il suo disavanzo». È in questa cornice che si è svolto ieri il summit tra il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda, quello dei Trasporti Graziano Delrio e i commissari di Alitalia, Luigi Gubitosi, Enrico Laghi e Stefano Paleari, servito a fare il punto sulla procedura di Amministrazione e sul processo di vendita ancora in alto mare visto che «le manifestazioni di interesse pervenute devono essere ulteriormente approfondite prima di poter procedere ad una negoziazione in esclusiva». Di qui, in assenza di meglio, una raccomandazione ai commissari degna di monsieur di Lapalisse: i ministri «hanno dato istruzione ai Commissari di procedere velocemente in presenza di un’offerta solida e credibile». Intanto, pur senza avanzare cifre, i ministri hanno tenuto a dire, non si sa su quale base, che la società nel primo trimestre presenterà ricavi in crescita e che il prestito dello Stato non è stato sostanzialmente intaccato» lasciando all’immaginazione la determinazione di quel “sostanzialmente” e senza precisare se si intende tener conto degli interessi. Tra tanta vaghezza appare sempre più probabile che il processo di vendita sia comunque destinato a non chiudersi prima delle elezioni.
In ogni caso, non facciamoci illusioni: è probabile che i quattrini del prestito ponte siano destinati ad alimentare il grande falò della compagnia di bandiera.
***
ETTORE LIVINI, LA RPUBBLICA –Ciak, si rigira. Titolo: “Alitalia 2 la vendetta”. Trama: la stessa del 2008. L’ex compagnia di bandiera, tanto per cambiare, è in prognosi riservata. C’è un compratore – ieri Air France, oggi Lufthansa – pronto a rilevarla. Alla vigilia delle urne e a un passo dalla vendita, ora come allora, il colpo di scena: spuntano voci di nuove offerte, iniziano a cantare le sirene dell’ “italianità”, qualcuno auspica persino un presidio dello Stato nel capitale. Il sequel 2018, finora, è la fotocopia dell’originale. E affida in questi giorni al governo Gentiloni un compito delicatissimo: riscrivere il finale tutt’altro che lieto di dieci anni fa quando il pirotecnico ingresso della questione Alitalia in campagna elettorale – complice il fiuto populista di Silvio Berlusconi – ha fatto saltare tutti i tavoli e scappare i francesi. Lasciando un conto salatissimo da pagare (più di due miliardi) ai contribuenti tricolori.
La situazione, dicono gli ottimisti, è questa volta più chiara e lascia, in teoria, poco spazio alle sorprese: tre concorrenti – Lufthansa, il fondo Usa Cerberus e Easyjet – hanno presentato offerte per l’acquisto delle attività di volo della società, in amministrazione controllata dalla scorsa primavera e tenuta in vita da prestito ponte dello Stato – leggi soldi dei cittadini da 900 milioni. Lufthansa è in pole position: offrirebbe qualcosa come 300 milioni e pretende circa 2mila esuberi, cifre trattabili. Il termine «per la conclusione della gara» è stato prorogato al 30 aprile «per non indebolire il potere negoziale dei Commissari».
Ma l’ingresso in campo in Zona Cesarini di Air France (a volte ritornano) e dell’americana Delta ha già ridato forza alle voci che chiedono un rinvio ulteriore. «Vogliamo vendere e non svendere» ha chiosato il ministro dei Trasporti Graziano Delrio che come tutto l’arco costituzionale non vuole trovarsi a metà campagna elettorale a dover discutere di quanti tagli fare in Alitalia.«Dobbiamo vendere bene e presto», ha puntualizzato il collega alla Sviluppo economico Carlo Calenda, che da tempo fiuta il rischio di un trappolone in periodo elettorale per allungareil periodo di vendita. Mettendo a rischio – come nel 2008 – non solo la salvezza dell’aerolinea, ma pure i soldi degli italiani.Il partito dei frenatori – che vanta molti fan tra sindacati, personale e mondo aeroportuale – qualche risultato l’ha già ottenuto.
Nessuno l’ha messo nero su bianco, ma il termine del 30 aprile per la vendita è nella sostanza già saltato. E l’unico paletto è oggi il 30 settembre, data entro cui Alitalia dovrebbe restituire allo Stato i 900 milioni del prestito ponte più gli interessi vicini al 10%. «Il settore aereo si sta consolidando in Europa come negli Usa, mettere Lufthansa contro Air France per conquistare il mercato italiano ci consente di massimizzare incassi monetari e occupazionali», dicono gli uomini vicini a Luigi Gubitosi, il Commissario più favorevole a fare le cose con calma.Il rischio di questa scelta, dice chi ricorda il finale del 2008, è altissimo. Per due motivi: il primo è che Alitalia non ha sistemato i suoi conti.
E malgrado il lavoro dei Commissari continua a mangiare soldi pubblici. Forse non al ritmo di 3 milioni al giorno, come a inizio 2017, ma quasi certamente a ritmi ancora elevati. Il secondo è che alla fine i compratori – stanchi della melina italiana – facciano marcia indietro, lasciando il cerino in mano ai contribuenti e puntando a conquistare i cieli tricolori spartendosi le spoglie dell’ ex-compagnia di bandiera. Le ferite lasciate dalla retromarcia Air France dopo le intemerate berlusconiane del 2008 fotografano bene i danni potenziali: il governo dell’ex-Cav è stato costretto a mandare in amministrazione controllata Alitalia prima di girarla alla cordata dei “Capitani coraggiosi” messa in piedi da IntesaSanPaolo. I 300 milioni di prestito ponte garantiti allora dal Tesoro, i bond Alitalia in portafoglio allo Stato e le azioni pubbliche sono andati in fumo (Air France le avrebbe pagate) bruciando un miliardo.
I tagli in Alitalia sono stati superiori a quelli chiesti da Parigi, Malpensa non ha recuperato i voli tolti dall’ex compagnia di bandiera («è impossibile che l’aeroporto di Milano venga privato del 72% dei suoi voli», aveva tuonato Silvio prima del voto del 2008 blandendo gli elettori del Nord). E il welfare garantito ai dipendenti in esubero è costato quasi due miliardi, 1,2 per l’integrazione all’80% delle pensioni, 700 milioni per la cassa integrazione.Difficile immaginare cosa sarebbe successo se Alitalia fosse finita in mano ad Air France (rientrata del resto poco dopo nel capitale) come previsto dal piano di Romano Prodi, visto che un paio di anni dopo la crisi e il petrolio a 100 dollari hanno mandato in tilt il settore. Ma di sicuro senza il ribaltone elettorale del 2008 il conto per l’Italia sarebbe stato molto meno salato. Non solo.
Gli errori di allora hanno continuato a pesare sulle tasche dei contribuenti anche nell’era dei privati. Le Poste hanno perso circa 75 milioni per tenere a galla la compagnia. Allungando la lunga lista dei soci che hanno bruciato centinaia di milioni nel pozzo nero della grande malata dei cieli nazionali: i “patrioti” guidati da Roberto Colaninno hanno perso i 900 milioni che hanno investito, le banche – Intesa e Unicredit in testa – 600, Air France ha gettato al vento altri 320 milioni, gli arabi di Etihad, i salvatori del 2015, 387. Il rischio ora, rimandano le scelte per non turbare la pace elettorale, è che l’orologio torni indietro di dieci anni. Presentando di nuovo un conto miliardario agli italiani.