Libero, 14 febbraio 2018
Pagare le tasse ci costa 60 miliardi solo di scartoffie e adempimenti
I contribuenti italiani hanno girato al fisco nell’anno 2016 oltre 450 miliardi di euro di sudati guadagni. È tanto. Anzi tantissimo, siamo in vetta alle classifiche europee. Ma il punto non è (solo) questo perché oltre al danno c’è la beffa.
Per riuscire a pagare le tasse, chi non ha un datore di lavoro alle spalle, ha speso la bellezza di altri 60 miliardi, costo cresciuto dal 2015 a oggi di altri 2,5 miliardi. A tanto ammontano gli adempimenti, le scartoffie i bolli e i francobolli necessari per saziare uno Stato che oltretutto si porta sul groppone un debito monstre di 2.275 miliardi. Le imprese e i professionisti, pari a circa 6 milioni di soggetti, sborsano dunque in media 514 euro l’anno. E chi si avvale proprio del commercialista per fare il proprio dovere di contribuente deve tenere conto che saldare la fattura del professionista vuol dire staccare un assegno da 24 miliardi.
I dati sul costo degli adempimenti è contenuto in una ricerca condotta dalla Fondazione nazionale dei commercialisti e diffuso ieri dal presidente del Consiglio nazionale, Massimo Miani, nel corso degli Stati generali della categoria a Roma.
Sono gli stessi professionisti a denunciare il numero eccessivo di adempimenti con scadenze ravvicinate, la proliferazione di istruzioni di difficile comprensione emanate in prossimità se non dopo le scadenze di legge. E poi continue modifiche e rimaneggiamenti delle norme fiscali e continua richiesta di dati talvolta già in possesso dell’amministrazione finanziaria.
Una rapporto tra fisco e contribuenti che, nonostante i continui annunci, non si riesce a raddrizzare. Così come l’altra faccia del fisco, quella che si occupa di lotta all’evasione. Proprio sul recupero del gettito, di recente sono stati snocciolati dati record: oltre 20 miliardi nel 2017, quasi il doppio del 2010. Ciò che però non è stato sottolineato è che 400 milioni derivano dalla voluntary disclosure e 4,4 miliardi dalla rottamazione delle cartelle, vale a dire da un accordo con il contribuente che si è autodenunciato, una «una tantum» insomma. Il dato del recupero fiscale reale è stato di 15,3 miliardi, 4,3 miliardi in più del 2010. Non solo. Mentre negli ultimi anni il gettito recuperato dall’attività di controllo, vale a dire il contrasto al grande evasore o all’evasore totale, ha riportato numeri in calo, la cosiddetta attività di liquidazione, cioè la richiesta di ulteriori imposte da parte dell’Agenzia delle entrate per errori o discordanze nei documenti del contribuente, continua ad aumentare e la seconda, ben più facile da mettere in pratica, ha ormai abbondantemente superato la prima.
Meglio la caccia facile facile che andare a stanare i veri evasori, ha sottolineato Enrico Zanetti, segretario di Scelta Civica e candidato di Noi con l’Italia presentando nel corso dell’assise romana i numeri che riportiamo nella tabella. «Fino a quando un euro recuperato da chi è evasore totale, frodatore seriale e finto nullatenente con tutti i beni intestati a società off shore viene valorizzato negli obiettivi di risultato dati dalla politica all’Agenzia delle entrate come un euro recuperato da chi ha la sua brava azienda in chiaro, tutti i beni intestati e gli viene contestata la deducibilità di un costo che ha dichiarato, secondo voi su quale dei due si concentrano i controlli?».
La risposta, purtoppo, è sotto gli occhi di tutti.