la Repubblica, 15 febbraio 2018
Le creature degli abissi e la vita in un valzer di luci
ROMA Si scende negli abissi con un piccolo batiscafo. Si fermano le eliche. Si spengono le luci. Quando tutto è buio e silenzio, nel momento esatto in cui la sensazione di essere sepolti vivi comincia a dare i brividi, lo spettacolo inizia. Gli scienziati che l’hanno vissuto lo descrivono come una scarica di fuochi d’artificio, l’accensione improvvisa di un cielo di stelle, il passaggio di una galassia di fronte ai propri occhi, l’approdo in un mondo di alieni. È la scoperta che gli abissi del mare, dove mai è arrivato un raggio di Sole, pullulano comunque di luce. Merito della bioluminescenza: la capacità di alcune specie di emettere fotoni tramite una reazione chimica.
Grazie a lei le creature del buio perenne si parlano, si attraggono, si accoppiano, si mangiano, si spaventano e – paradossalmente – si nascondono. Il tutto usando la luce, come fanno (o facevano) le lucciole nelle nostre campagne.
Lo studio delle stelle dei fondali, nei suoi dettagli, è progresso recente. Il Monterey Bay Aquarium Research Institute in California ha da poco messo insieme le riprese effettuate con robot sottomarini dal ‘99 a oggi.
L’iniziativa “Our Blue Planet” della Bbc e la casa produttrice di video scientifici Alucia Production hanno puntato sul lato spettacolare del fenomeno.
Le ultime scoperte sono state riassunte due giorni fa da Scientific American.
«Ci si chiedeva da sempre perché le creature degli abissi hanno gli occhi, se a 200 metri di profondità non si vede più nulla e neanche un fotone arriva a 500» racconta Roberto Danovaro, che insegna biologia marina all’Università Politecnica delle Marche e presiede la Stazione Zoologica Anton Dohrn a Napoli.
Poi, nel 1932, l’esploratore americano William Beebe si immerse all’interno di una grande biglia di metallo e scoprì le stelle in fondo al mare. La “pallida luce che risplendeva sulla superficie” era stata notata in precedenza da Charles Darwin. Durante la Guerra Fredda sia Usa che Urss si industriarono per capire se il passaggio dei sottomarini causasse l’“accensione” del plankton bioluminescente.
«Lo Stretto di Messina, grazie al suo gioco di correnti, è uno dei luoghi ideali per studiare il fenomeno, in particolari periodi dell’anno» racconta Danovaro.
Ma è soprattutto grazie allo studio del Monterey Bay Aquarium, pubblicato l’anno scorso su Scientific Reports, che finalmente la vita degli abissi si è illuminata di fronte ai nostri occhi. Con 240 immersioni di robot fino a 4mila metri di profondità, i biologi hanno contato 350mila creature luminose. Bellissime. C’è la medusa che assomiglia a un’astronave, il pesciolino che si trasforma in una giostra, rane pescatrici che accendono la lanterna sopra alla testa per attirare le prede, squali dagli occhi color ambra fosforescente, vermi arancioni, verdi, blu o di tutti questi colori insieme.
«Alcune seppie – racconta Danovaro, che ha osservato le stelle degli abissi con robot sottomarini calati dalle navi – rilasciano uno spruzzo di luce esattamente come specie simili fanno con l’inchiostro.
Abbagliano il predatore, compiono una serie di piroette sfavillanti per depistarlo e poi tornano a rifugiarsi nel buio totale».
Se calcoliamo che la profondità media del mare è di 4mila metri, la vita arriva a oltre 11mila, il 90% delle creature marine abita acque completamente buie e che, infine, secondo i calcoli dei californiani il 76% delle specie che popolano l’oceano oscuro usano una qualche forma di bioluminescenza, si capisce quanto il fenomeno sia imponente e diffuso. «Totani e calamari – prosegue il presidente della Anton Dohrn – a volte hanno occhi come fari, con una sostanza riflettente sulla parete posteriore. La luce può essere prodotta da una reazione chimica fra enzimi oppure da batteri che vivono in simbiosi con gli animali marini. E che possono perfino essere trasmessi da madre a figlio». Dimostrazione di quanto questo fenomeno sia radicato nell’evoluzione della vita. «Siamo abituati a guardare il mare dalla spiaggia» commenta Danovaro.
«Ma la vita viene dal fondo. Per capirla è utile a volte capovolgere la nostra prospettiva».