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 2018  febbraio 15 Giovedì calendario

Il Gasparri di Renzi

Confesso che Matteo Richetti mi sta simpatico. Quando lo incontravo nei dibattiti televisivi, mi era sempre sembrato uno dei pochissimi renziani raziocinanti, cioè pensanti con la propria testa e non con quella del Matteo Maior (si fa per dire). Il quale infatti lo aveva “posato” per diversi anni perché non gli leccava i piedi a sufficienza. L’aveva addirittura silurato come candidato a governatore dell’Emilia Romagna con la scusa dell’indagine per la Rimborsopoli emiliana: e che fosse una scusa lo dimostrò il fatto che fu candidato Stefano Bonaccini, pure lui indagato nella stessa inchiesta. Poi furono archiviati entrambi, ma Bonaccini troneggia da quattro anni col suo mento volitivo alla guida della Regione Emilia-Romagna, mentre Richetti restò in purgatorio fino alla vigilia del referendum costituzionale del 2016, quando l’altro Matteo lo riesumò dalla quarantena per esibirlo last minute a recuperare il terreno perduto. Invano. Ora è stato promosso a portavoce di Renzi (bella forza: prima c’era Anzaldi) ed è un’altra persona. L’altra sera, a DiMartedì, mi ha messo tristezza. Bersani e Di Battista avevano appena risposto alle domande mie e di altri colleghi sulle magagne dei rispettivi partiti. Poi è arrivato Richetti e, a ogni domanda sulle magagne del Pd, rispondeva su quelle dei 5Stelle. Come se fosse reduce da un corso di aggiornamento tenuto da Gasparri, da Brunetta, da Elio Vito e dal Bondi dei tempi d’oro (prima della recente guarigione).
Abituato alla Rai, dove di solito nessuno fa mai domande ai padroni di casa del Pd, Richetti era sinceramente incredulo perché gli chiedevo conto dei 29 inquisiti nelle liste del Pd, cioè del clamoroso, trionfale sorpasso financo su FI, che di impresentabili per motivi penali ne ha racimolati soltanto 22. A suo dire, chiedere il perché di quei 29 indagati significa “parlare come Rocco Casalino” (il portavoce M5S). In realtà significa parlare come Renzi, Richetti & C. Quando davano la scalata al partito e chiedevano le dimissioni dei ministri Cancellieri, Alfano, De Girolamo e Idem dal governo Letta, anche se i primi tre non erano indagati e la quarta lo era per un’evasione di pochi euro su una palestra. Allora i due Matteo invocavano la questione morale per questioni di opportunità, di etica, di conflitti d’interessi, di “disciplina e onore”. Ora che Richetti ha smesso, chi parla come parlava lui, cioè chi è rimasto coerente anziché voltare gabbana per uno sgabello da portavoce, è come Rocco Casalino. Come se ci fosse solo Casalino, in Italia, a trovare ipocrita chi s’indigna per le mancate donazioni di una decina di 5Stelle.
E intanto sta in partiti che non si sono mai tagliati un euro di stipendio, e hanno persino bocciato la legge (di Richetti!) che riduceva un po’ i vitalizi. Come se bisognasse essere Casalino per notare l’incoerenza di quanti rimproverano a dieci grillini di aver fatto ciò che fanno da sempre i parlamentari di tutti i partiti. Come se nessun altro, oltre a Casalino, trovasse scandaloso che 10 pentastellati abbiano violato il proprio Codice etico trattenendo soldi propri; e normale che centrodestra e centrosinistra portino in Parlamento una dozzina di consiglieri regionali indagati e imputati per aver violato il Codice penale, intascando soldi nostri: cioè rimborsi pubblici per spese private camuffate da attività istituzionali. L’altra sera, mentre il Gasparri di Renzi faceva fuoco di sbarramento contro ogni dato di fatto e ogni ragionamento logico sparando slogan a macchinetta, pensavo ai milioni di elettori del Pd. Quelli che per vent’anni si sono indignati per le liste sporche del centrodestra e martedì hanno scoperto dalla viva voce di Richetti che anche loro erano dei Rocco Casalino, dei fottutussimi criptogrillini che devono vergognarsi di aver sognato una politica pulita. Quelli che votavano Renzi (alle primarie 2012-2013 e alle Europee 2014) perché prometteva di rottamare la vecchia politica delle clientele e degli inciuci, e ora si ritrovano in lista l’uomo delle fritture di pesce e del “clientelismo come Cristo comanda” (copyright De Luca), Casini, la Lorenzin e altri venti ex berlusconiani al posto di tanti politici progressisti e ambientalisti.
Quelli che fanno battaglie antimafia in Sicilia rischiando la pelle e si ritrovano in lista il rettore dell’università di Messina Pietro Navarra, nipote del patriarca del clan dei Corleonesi Michele Navarra (ritenuto il mandante dell’omicidio del sindacalista Placido Rizzotto), e non Giuseppe Antoci, presidente del Parco dei Nebrodi scampato a un agguato mafioso e silurato da Musumeci. Quelli che, negli anni di Mani Pulite e del berlusconismo arrembante, manifestavano in piazza per i magistrati e contro corrotti e corruttori, e ora scoprono che aveva ragione Craxi. Già, perché Renzi, dopo aver paragonato Di Maio a Craxi per le mancate donazioni, ha fatto marcia indietro: ma non per aver offeso il leader dei 5Stelle e anche i 10 furbastri pentastellati (che non hanno violato alcuna legge); bensì per non offendere la memoria del pregiudicato latitante Craxi e tutti i craxini col Pd. Ho anche pensato al popolo del Pd che aveva sofferto per le collusioni di molti dirigenti col sistema di Buzzi & Carminati e sperava che Renzi & Orfini avessero fatto piazza pulita a Roma, mentre ora si ritrova in lista e prossimamente in Parlamento Micaela Campana, indagata per falsa testimonianza per i 39 “non ricordo” al processo Mafia Capitale sui suoi rapporti con Buzzi (che al telefono salutava con un bel “bacio, grande capo!”). Ecco, l’altra sera, grazie a quel genio del Gasparri di Renzi, questi milioni di elettori del Pd hanno scoperto di essere tutti Casalino. Cioè 5Stelle. Così, il 4 marzo, sanno come votare.