La Stampa, 15 febbraio 2018
Il crollo delle adozioni internazionali. Sono sempre meno i bambini stranieri accolti in Italia
Crollano le adozioni internazionali. Negli ultimi quindici anni il calo è del 60 per cento, con il minimo storico raggiunto nel 2016 con appena 1.580 bimbi stranieri accolti dalle famiglie italiane. Erano 4 mila nel 2001, più di 3 mila nel 2008. Come raccontano gli ultimi dati pubblicati dal ministero della Giustizia, di anno in anno diminuiscono le famiglie disposte ad affrontare un percorso tortuoso e dagli esiti troppo spesso imprevedibili che si snoda tra tribunali, servizi sociali, associazioni e Cai, la Commissione per le Adozioni Internazionali.
«La politica deve recuperare anni di disinteresse e impegnarsi a sostenere, anche economicamente, le adozioni. Al momento è l’unica forma di genitorialità discriminata, perché pesa completamente sulle spalle della famiglia – ragiona Pietro Ardizzi, genitore adottivo di lunga data e portavoce di venti enti autorizzati all’adozione oggi in Senato per l’incontro “Adozioni internazionali, un bene per tutti” -. Oltre ai tempi di attesa scoraggianti, con una media di tre anni, c’è una spesa che sta sui 30 mila euro».
Soddisfatto il requisito di partenza – il matrimonio da almeno tre anni o in alternativa una convivenza documentabile e continuativa – il primo passo è presentare al Tribunale dei minorenni competente una «domanda di disponibilità e idoneità all’adozione»: nel 2001 erano quasi 8 mila, nel 2008 superavano le 6 mila, nel 2016 invece si sono fermate a poco più di 3 mila. A valutare – per non dire, selezionare – gli aspiranti genitori sono gli assistenti sociali. «Da più di quindici anni le Regioni avrebbe dovuto dotarsi di un protocollo specifico per una formazione continua degli assistenti sociali – spiega Ardizzi -. Ma a oggi solo otto Regioni l’hanno fatto, nemmeno la metà». A emettere il decreto di idoneità sono i tribunali, basandosi sulle valutazioni dei servizi regionali. A Roma e Venezia è diffusa la pratica dei cosiddetti «decreti vincolanti», che stabiliscono che una coppia può adottare, ma per esempio solo un bimbo appena nato. «Da tribunale a tribunale le sensibilità sono diverse, così capita che la coppia riceva un decreto difficilmente spendibile. Se per esempio l’età stabilita dal giudice sta tra gli zero e i tre, sarà ancora più difficile adottare un bimbo straniero. Ormai l’età media è sui cinque anni. Manca una preparazione adeguata di tutti gli attori, che non sempre danno alle coppie le informazioni di cui hanno bisogno». Numeri alla mano, circa un 20 per cento non ottiene il decreto di adottabilità. Per gli altri la legge prevede un anno di tempo per rivolgersi a uno dei sessantadue enti autorizzati dal Cai, incaricati sia di della procedura di adozione e dell’incontro all’estero con il minore, con tempi che non possono essere garantiti. Se la conoscenza va a buon fine, tocca al Cai verificare che l’adozione sia in regola e autorizzare l’ingresso e la permanenza dei bimbi in Italia.
Non solo. È sempre il Cai a stabilire gli accordi bilaterali per le adozioni. Un delicato e costante lavoro di diplomazia, travolto però negli ultimi anni da lunghe interruzioni e vicende giudiziarie non ancora concluse. La presidenza del Cai è oggi del premier Paolo Gentiloni, che lo scorso giugno ha nominato la nuova vicepresidente Laura Laera. Nella prima convocazione dell’assemblea dopo due anni, il presidente del Tribunale per i minorenni di Firenze ha denunciato una serie di irregolarità amministrative della passata gestione e annunciato di voler procedere a una revisione di tutti gli enti. Lo scorso ottobre infatti la Cai è stata condannata a pagare un risarcimento a una coppia che nel 2012 avrebbe dovuto adottare un bambino in Kirghizistan con l’ente Airone Onlus, poi radiato dall’albo: risultò infatti che il bimbo non era in stato di adottabilità. «Compito della Cai è anche aprire accordi con nuovi Paesi, ma negli ultimi tre anni l’attività è stata bloccata. Ci sono circa 150 richieste degli enti per nuove convenzioni mai esaminate – denuncia Marco Griffini, presidente dell’Ai.Bi., una delle associazioni oggi in Senato -. Fino a qualche mese fa, la linea verde per i genitori era staccata. Abbiamo una lunga tradizione nelle adozioni internazionali, siamo stati i primi a stipulare degli accordi con Russia e Cambogia. Ma le esigenze dei Paesi cambiano. La Bolivia per esempio avrebbe voluto aprire un nuovo canale, ma da anni non riceve nessuna risposta. Adottare un bimbo è un grande gesto d’amore. Che non andrebbe ostacolato, ma incoraggiato».