Corriere della Sera, 15 febbraio 2018
Rompiscatole d’oro. Il capolavoro di Arianna Fontana non è finito: «Ho ancora tre gare. Il mio segreto è il carattere»
PYEONGCHANG Felicità, il giorno dopo l’oro nei 500 metri di short track, sarebbe un pezzetto di cioccolato, una fetta di pizza, una qualsiasi delle mille tentazioni di cui Casa Italia, sulla collina di Pyeong-chang, è disseminata. Invece no. L’atomica bionda è perentoria: «Ho ancora tre gare, i dolci devono attendere».
Arianna Fontana ha la medaglia al collo, finalmente. La cerimonia di premiazione postdatata, un’abitudine coreana da rivedere (insieme a tante altre cose di un’Olimpiade che ingrana faticosamente), le ha lasciato sulla guancia l’impronta di una lacrima cristallizzata dal freddo. «Sul podio avevo gli occhi gonfi, poi è partito l’inno che mi ha dato una carica pazzesca, allora ho ricacciato indietro il pianto». Le piace mostrarsi dura («Viviamo in un mondo in cui gli uomini prevalgono sulle donne: dobbiamo impuntarci e prenderci quello che vogliamo con grinta») però, sotto sotto, ha il cuore tenero. La mozione degli affetti è presente. Tra i cori, lo spumante, i video che le restituiscono le emozioni della finale all’Ice Arena, spunta la briccola d’ancoraggio della campionessa apolide: la famiglia. C’è mamma Maria Luisa, che l’aspetta a Berbenno, Bergamo, contrada Polaggia, per affettare la bresaola migliore. C’è papà Renato, che racconta di quella volta che alla Cucciolata a rotelle, ritenendosi vittima di un’ingiustizia, la figliola aveva lanciato via il premio per il secondo posto, un gelato. Arianna aveva 6 anni: «Capisce perché ha vinto l’oro olimpico?». Ci sono il fratello Alessandro e il marito Anthony, ex pattinatore, imposto dalla tigressa alla Federghiaccio (non senza screzi e invidie in squadra) come preparatore personale: «Mi sono impuntata, lui tira fuori il meglio di me ed è una parte importante di questo successo» spiega.
La notte da portabandiera, la serata sul ghiaccio dell’oro, il party che il Coni le dedica. Arianna attraversa le tempeste emotive senza fare un plissé. «Il mio segreto è il carattere: se le ragazze vedono in me la tenacia, mi sta bene. Se pesto i piedi a qualcuno, se per strada qualcuno si offende, non mi interessa. La vita è mia e la vivo a modo mio. Ho la fama di rompiscatole, però spero di essere d’esempio: tirate fuori le cose che avete dentro».
Dopo Sochi si è rimessa in gioco. «È stata una lunghissima avventura piena di sacrifici e di litigate con mio marito. Questo oro arriva con quattro anni di ritardo, però così è ancora più bello». Ha in mente un nuovo tatuaggio, ma lo tiene per sé. Con il premio del Coni (150 mila euro), farà shopping a Milano con l’amica Veronica: «Scarpe, scarpe e ancora scarpe. Con il tacco. Poi non le metto, ma mi piace sapere di averle». Esclude di fare due gemelli e tornare a pattinare, come la compagna di squadra e di staffetta Martina Valcepina («Non credo che sarei in grado di fare l’atleta e la mamma»).
Dentro o fuori, sul filo del rasoio. Arianna è fatta così. Ancora tre gare, e i sacrifici olimpici saranno finiti. «Non so se i Giochi di Pyeongchang mi cambieranno l’esistenza, però mi piacerebbe che lo short track diventasse più popolare. Ai ragazzi piace, ma fuori dalla Valtellina abbiamo poche piste». Cosa saresti disposta a fare per il tuo sport, le chiediamo. «Tutto. Anche andare all’Isola dei famosi. Tanto alla dieta ferrea sono già abituata».