La Stampa, 15 febbraio 2018
Nell’Arezzo orfana di Boschi curia e aziende scaricano il Pd
È l’ora del crepuscolo e nella campagna di Laterina si accendono le prime luci dietro le finestre di casa Boschi. Loro – papà, mamma e figli – si vedono pochissimo in giro: oramai sono un ricordo i giorni smaglianti nei quali Maria Elena tagliava il nastro di OroArezzo, era ospite d’onore al Rotary, ripercorreva i corridoi del suo liceo tra ali di fotografi e mani protese. I Boschi vivono a una ventina di chilometri da Arezzo, in questo paesino di tremilacinquecento anime. La loro casa – né bella né brutta – emana benessere più che lusso. Due piani, la classica foggia degli edifici novecenteschi della campagna toscana, casa Boschi è circondata da un tessuto casuale di capannoni dismessi, concerie, ciminiere, carrozzerie. Qui, quando esplose lo scandalo di Banca Etruria, da Arezzo arrivarono risparmiatori inferociti, con cartelli «personalizzati» («Renzi tutela la salvaguardia dei Boschi ma non dei risparmi») e lanciarono soldi falsi dentro il cancello.
Di quell’umore malmostoso si fa portavoce, nel trecentesco palazzo dei Priori, il sindaco di Arezzo, l’ingegner Alessandro Ghinelli, centrodestra. E lo fa con riflessioni colorite: «Ci dipingono come lestofanti e allocchi per colpa dei Boschi, per la gente lei è la madrina del disastro!». E muovendo da queste lapidarie premesse il primo cittadino ha promosso addirittura un’azione legale: «C’è un nome e cognome che ha portato rogne a questa città: Maria Elena Boschi. Lei e la sua famiglia hanno provocato danni di immagine internazionale, Arezzo è la città martire della loro disfatta».
Un affresco di parte o che restituisce almeno in parte un umore cittadino? Il voto degli aretini non interessa soltanto loro: nel momento alto del renzismo – Europee 2014 – il Pd ottenne ad Arezzo il 57,3%, una delle percentuali più alte d’Italia e dunque il responso dei concittadini di Maria Elena Boschi misurerà la tenuta – o la caduta – di una classe dirigente e al tempo stesso sarà anche un segnale per capire se esiste un Pd a prescindere dai suoi vip pro-tempore. E ancora: in Toscana, dopo le crepe dei municipi persi (Arezzo, Grosseto, Livorno, Carrara, Pistoia) l’emorragia iniziata proprio nell’era Renzi proseguirà?
In città, una parola autorevole, che orienta è quella di Tito Barbini, già sindaco di Cortona, a suo tempo amico di François Mitterrand: «Ad Arezzo la sinistra ha quasi sempre governato, ma non le è mai stato consentito di avvicinarsi a Banca Etruria, guidata da ambienti cattolici e massonici. Ad Etruria, gli aretini erano legati da affetto sincero: era un’istituzione alla quale si dava fiducia incondizionata. Ora quella fiducia è stata tradita. E anche se Renzi e Boschi non hanno responsabilità dirette, che sono di una intera classe dirigente, un effetto-Boschi sarà inevitabile: questa vicenda è destinata a pesare sul Pd».
Peserà anche perché in città, in modo carsico, sta accadendo qualcosa che potrebbe essere lo specchio di un fenomeno nazionale. Sostiene Giovanni Donzelli, capolista di Fratelli d’Italia ma soprattutto il più documentato e coraggioso “radiografo” del sistema-Renzi in Toscana: «Certo, oramai la gente vota libera, ma in città è in atto un processo interessante: pezzi di potere vicini al centro-sinistra, professioni, famiglie, istituzioni stanno riservatamente cercando un’interlocuzione con il centrodestra». Donzelli di più non vuol dire, ma ad Arezzo i poteri che pesano sono la massoneria, la Curia, l’imprenditoria piccola e media, dal pellame all’oro. In effetti al termine di una manifestazione di protesta dei risparmiatori, il parroco di Laterina li benedisse. E quanto al vescovo Riccardo Fontana, nella sua omelia di Natale, ha scandito parole severe: «Coraggio, aretini! Da tempo siamo sulla bocca di tutti, non sempre in modo benevolo. Questa città merita molto di più della litania di citazioni poco onorevoli».
A questo riposizionamento dei poteri, il Pd ha replicato non soltanto con l’«auto-esilio» della Boschi a Bolzano («una fuga», la definisce Donzelli), ma anche con liste piene di «paracadutati» renziani, da Bonifazi ad Alessia Rotta. Il «genius loci» ma anche le possibilità di tenuta del Pd sono affidate al solo Marco Donati, deputato uscente e unico aretino di tutta la compagnia: «Ad Arezzo sono abituati a vedermi dappertutto, da assessore al Bilancio la mia correttezza amministrativa è stata riconosciuta anche dai Cinquestelle, il legame col tessuto sociale è forte». È il profilo fattivo che ha fatto la fortuna della sinistra in Toscana: basterà? Il fiorentino Riccardo Nencini, segretario del Psi, candidato al Senato nel collegio che comprende anche Siena, non si lascia influenzare da un contesto indecifrabile: «Oramai le campagna elettorali iniziano veramente negli ultimi sette giorni. È ancora presto…».