Il Sole 24 Ore, 15 febbraio 2018
L’illusione della progressività. I nodi sono l’evasione, le cedolari e le plusvalenze, ma la flat tax non è la soluzione
Ci risiamo. Anche in questa campagna elettorale torna il dibattito sull’opportunità di modificare l’imposta personale e di introdurre una flat tax. E anche in questa campagna elettorale, la proposta di riforma dell’Irpef viene interdetta, principalmente, dalla presunta impossibilità di trovare copertura ai relativi oneri finanziari. Come se questo non fosse un fatto generale che riguardi ogni provvedimento di maggiore spesa o minore entrata. Eppure negli anni sono state investite molte risorse per coprire interventi di natura fiscale. È persino superfluo ricordare che negli ultimi dieci anni, l’aliquota Ires si è ridotta dal 33 al 24%; e che un certo numero di miliardi è stato speso per alleggerire il peso dell’Irap; e che nelle ultime due leggi di stabilità l’intervento più oneroso (oltre 30 miliardi in due anni) è stato la sterilizzazione degli aumenti delle aliquote Iva; e che è stato abolito il prelievo patrimoniale sulla prima casa; e che risorse sono state investite per la decontribuzione in favore delle imprese; e che trattamenti tributari differenziati di vario tipo hanno proliferato. Non si tratta quindi di trovare coperture; si tratta di stornare coperture da altri provvedimenti. Quello della modifica dell’Irpef, quindi, è un punto politico, non finanziario.
Ragion per cui il tema non si può liquidare sostenendo che la flat tax (o comunque qualsiasi riduzione della progressività dell’Irpef) non abbia sufficienti coperture. Ma neanche con l’argomento che la flat tax porterebbe a una grave perdita di progressività del sistema. Quest’ultimo argomento presuppone infatti che l’attuale sistema di progressività dell’Irpef sia quello ottimale, e che l’Irpef svolga davvero la sua funzione di ripartire l’onere tributario in maniera equa tra i ricchi e i poveri.
Purtroppo è ancora una volta necessario ricordare che la base imponibile Irpef è composta per l’85% da redditi da lavoro dipendente e da pensione, e che per l’anno di imposta 2015, i contribuenti che hanno dichiarato più di 75mila euro di reddito imponibile (sarebbero questi i ricchi?) sono appena il 2,2% del totale. Tale distribuzione dell’onere tributario non rispecchia solamente la diversa numerosità dei gruppi di contribuenti, ma dipende fortemente dal diverso grado di fedeltà fiscale delle diverse categorie di reddito. Recenti stime indicano che l’imposta (non versata o non dichiarata) dai redditi di lavoro autonomo e di impresa è pari a circa 30 miliardi (ovvero i 2/3 dell’imposta potenziale dovuta).
Appare quindi evidente come la difesa dell’attuale progressività dell’Irpef perda di significato se si considera l’estrema concentrazione delle tipologie di reddito dichiarate. Il criterio di equità orizzontale – che vorrebbe che a parità di reddito si sia tassati allo stesso modo – appare profondamente violato, dato che intere categorie di reddito sfuggono alla tassazione progressiva per essere assoggettate a un’imposta proporzionale, quindi, in una certa misura, già flat. Si tratta della maggior parte dei redditi da capitale percepiti dalle persone fisiche (dividendi, interessi, plusvalenze), a cui si applica generalmente un’imposta sostitutiva non superiore al 26%, con una perdita di gettito stimata di circa 15 miliardi di euro. Sono esclusi dalla progressività Irpef anche i redditi derivanti dal possesso di abitazioni principali; gli affitti, soggetti a cedolare secca del 21% o del 10%; in molti casi le plusvalenze derivanti dalla vendita di immobili. Infine, è prevista la possibilità che le imprese individuali e le società di persone potranno optare per la tassazione del reddito di impresa con aliquota Ires del 24%.
Non si discutono qui i meriti relativi di ciascuno di questi trattamenti tributari specifici. Ma è un fatto che ormai il sistema di tassazione dei redditi sia sempre più conformato a un regime cedolare a progressività limitata, applicata solo ai redditi che non possono sottrarsi al prelievo. C’è di più: i contribuenti che maggiormente contribuiscono al gettito Irpef, in molti casi non possono accedere gratuitamente alla fornitura dei servizi pubblici. Con il paradosso che i lavoratori dipendenti e i contribuenti onesti pagano il doppio: una prima volta, perché soggetti alla progressività; una seconda volta, perché oltre un certo livello di reddito, i contribuenti tendono a rivolgersi al mercato privato. Si genera così l’effetto finale di avere servizi pubblici finanziati da contribuenti che non ne godono i benefici, con la conseguenza sia di creare spazio all’insofferenza per il pagamento delle imposte sia di guardare con favore proposte come l’introduzione della flat tax.
Si può far finta di nulla, e continuare a pensare che in Italia la redistribuzione importante sia quella tra i lavoratori dipendenti con redditi alti in favore degli altri dipendenti (e degli evasori che compaiono nella parte bassa della distribuzione dei redditi), e trincerarsi dietro alle coperture per bloccare ogni riforma dell’Irpef. Ma è un’illusione, che fa comodo alla politica, perché l’Irpef è la prima fonte di gettito dello Stato italiano. E come tutte le illusioni, non durerà a lungo, con l’aggravante che evitare il problema servirà solo a risolverlo prima o poi in maniera maldestra, ad esempio con la flat tax.
Università Roma Tre