Il Messaggero, 14 febbraio 2018
Note spese, gli escamotage per arrivare a 8 mila euro
ROMA Se il comportamento scorretto di alcuni parlamentari M5S ha rotto il patto di fiducia fra loro e gli elettori del movimento, il caso rimborsopoli ha il merito di far tornare a galla le debolezze dell’intero meccanismo di formazione delle buste paga dei parlamentari italiani.
Il punto è questo: è corretto che denaro pubblico, come quello dei rimborsi ai politici, venga gestito in tutto o in parte dagli stessi politici senza pezze d’appoggio?
Anche la brutta storia grillina (che si aggiunge a decine d’altre, dalle paghette della famiglia Bossi, alle Jeep e ai sex-toys comprati dai consiglieri regionali) poggia su un denominatore che la accomuna a quella di tutti i parlamentari che – almeno in parte – incassano denaro da Camera e Senato senza presentare pezze d’appoggio.
Possibile? Si, perché la ricca busta paga di un parlamentare (vedi grafico) viaggia sui 13.000 euro ed è composta soprattutto da rimborsi, alcuni dei quali a forfait.
LA RADIOGRAFIA
La prima voce è quella dello stipendio vero e proprio che, calcolando tutte le tasse, regionali e comunali comprese, ammonta a 5.000 euro netti per dodici mensilità. Su questa voce i parlamentari grillini possono giocare pochissimo. Si sono impegnati a versarne la metà al Fondo per il microcredito la metà dello stipendio ma effettivamente girano circa 1.500 euro a testa perché – sulla base di un conteggio di un commercialista- dall’indennità vanno sottratti anche i versamenti per l’assicurazione sanitaria e i 700 euro al mese che vangono accantonati per la liquidazione di fine mandato.
Fin qui è tutto semplice.
Le cose iniziano a diventare meno trasparenti quando si passa alle altre tre voci: tutt’e tre composte da rimborsi che superano gli 8.000 euro mensili.
I parlamentari hanno diritto infatti ad una Diaria, cioè ad un rimborso per l’affitto e il cibo che consumano, fino a 3.500 euro al mese. Poi dispongono di altri 3.700 euro per il mandato, ovvero per l’assunzione di un collaboratore, per l’ufficio sul territorio, per iniziative politiche di vario genere, e così via. Questi soldi vanno rendicontati solo al 50%. Gli altri 1.750 euro, la Camera li paga a forfait senza bisogno di alcuna ricevuta.
Infine ecco circa 1.100 euro al mese per i rimborsi per l’andata e il ritorno dagli aeroporti e 100 euro circa per i telefoni.
Non è un segreto che moltissimi parlamentari di tutti i partiti sono abituati a giostrare su queste voci con molta liberalità. Sono infinite ad esempio le polemiche sull’assunzione come collaboratori di parenti o amici o su versamenti effettivi agli stessi collaboratori inferiori a quanto dichiarato.
Fatto sta che è proprio sui rimborsi che si registrano le discrepanze più strane nel comportamente dei parlamentari pentastellati.
Ufficialmente i deputati grillini dovrebbero versare al Fondo per le microimprese la metà dei rimborsi non spesi. Già, ma chi stabilisce quanto è giusto spendere per un affitto? Nella realtà ogni deputati si comporta come crede: alcuni esponenti grillini spendono 2.000 euro per l’affitto, altri 1.000 euro. Alcuni hanno commercialisti e consulenze da 20.000 euro. Altri zero. Lo stesso Luigi Di Maio rendiconta – senza scontrini – 42.400 euro di missioni non ufficiali.
Molti deputati degli altri partiti hanno notato spese molto alte dei deputati grillini che, de facto, più spendono (o più dichiarano di spendere) e meno devono versare al Fondo.
Di qui differenze enormi nelle somme complessive restituite al Microcredito: il deputato Marco Da Villa dal 2013 ha rimborsato 244.184 euro e all’estremo opposto il deputato Francesco Cariello solo 77.868. Tutti e due senza fornire scontrini.