la Repubblica, 14 febbraio 2018
Tra alberi e palazzi ora il drone fa lo slalom
Ne abbiamo visti 1218 in Corea del Sud, volteggiare sincronizzati disegnando i cinque cerchi olimpici. Armata spettacolare e ipnotizzante. Ma è solo l’inizio. Multiuso, veloci e intelligenti. Ecco i droni del futuro nei progetti degli scienziati che lavorano per aprire le porte della realtà alla fantascienza. Un orizzonte più vicino grazie a due studi appena pubblicati dall’Università di Zurigo e dal Massachusetts Institute of Technology di Boston (Mit).
Certo, ne hanno fatte di miglia dai tempi di Predator, il primo robot volante degli Stati Uniti. Il debutto nel 2001, pilotato sui cieli dell’Afghanistan dal quartier generale della Cia. Ora sanno viaggiare da soli e il loro scopo non è solo offensivo: scattano selfie, girano video, trasportano defibrillatori. Un’evoluzione vertiginosa. Eppure, c’è ancora uno scoglio hi-tech da superare prima che diventino parte della vita quotidiana. «I droni possono volare autonomamente solo se sanno sempre dove si trovano», spiega Gabriele Costante, studioso di robotica dell’Università di Perugia. «Oggi si basano soprattutto su un sensore Gps che trasmette l’informazione a un computer di bordo».
Ed ecco il punto debole: il sistema è inaffidabile quando si scende a bassa quota, dove il segnale è debole. Inutile se d’improvviso ci sono ostacoli da evitare. Un cruccio per Amazon che sogna di depositare i suoi pacchi direttamente davanti all’uscio di casa, ma anche per la Darpa: l’agenzia di ricerca del dipartimento della difesa statunitense che nel 2015 ha bandito un finanziamento per trovare soluzioni entro quest’anno.
Un algoritmo che permette al drone di spostarsi in città, schivando auto e pedoni, è la tecnologia sviluppata dall’Università Svizzera. Si chiama DroNet e sfrutta una rete neurale artificiale che si ispira al comportamento dei neuroni umani. Così è in grado di interpretare le informazioni che ottiene grazie a una videocamera per smartphone, un accelerometro e un giroscopio. L’hanno allenata collezionando i dati raccolti da vetture e bici in movimento. Fino a insegnargli le regole della strada e il modo di comportarsi di conseguenza. Un po’ “come imparano i bambini”, scrivono gli scienziati.
Il Mit, invece, ha puntato sulla velocità, con un sistema che consente al robot di fare slalom in un bosco a oltre 30 km/ h, come uno scooter. Ci riesce calcolando le probabilità che vada a schiantarsi contro degli oggetti, immaginandoli più grandi di quanto sono in realtà. Un approccio utile per migliorare la destrezza dei droni. Ma progressi spettacolari si fanno anche nella cooperazione e coordinazione tra i robot volanti. Lo dimostra Giuseppe Loianno, ricercatore dell’Università della Pennsylvania e allievo di Vijay Kumar, guru del settore. «In un esperimento, una coppia si è aiutata per trasportare un peso. In un altro, ne abbiamo coordinati dodici, non usando il Gps», racconta. Adesso le sfide aperte sono l’ «autonomia energetica e una ancor maggiore agilità». Senza dimenticare, conclude Loianno, un campo quasi inesplorato: «L’interazione con l’uomo».