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 2018  febbraio 14 Mercoledì calendario

E il ladro si vanta in un libro. «Feci io il colpo del secolo»

PARIGI Nell’aula del tribunale Jacques Cassandri si siede sul bancone degli imputati con l’aria bonaria da pensionato 74enne, un capo famiglia un po’ sordo, amato e ascoltato dai figli che gli stanno accanto e ne hanno seguito le orme, infatti sono pregiudicati pure loro. Cassandri detto «il Pelato» è già stato condannato in passato a un totale di 14 anni per vari reati, ma in questi giorni è tornato davanti ai giudici di Marsiglia per il ruolo – più vantato che negato – nella «rapina del secolo». 
Tanti colpi si fregiano di quel titolo, ma la rapina alla Société Génerale di Nizza del 17 e 18 luglio 1976 se lo merita davvero: una squadra di 13 banditi arrivati attraverso le fogne riuscirono a bucare il caveau della banca e ad aprire 371 cassette di sicurezza su 4000, con calma, durante tutto un fine settimana (ci fu chi trovò il tempo per andare al ristorante con l’amante per poi tornare a finire il lavoro), per un bottino di 50 milioni di franchi, più o meno 30 milioni di euro. «Senza armi, senza violenza e senza odio», scrisse sul muro prima di scappare Albert Spaggiari, considerato a lungo il capo banda. Ognuno dei complici ricalcò la scritta in modo da rendere impossibile una eventuale perizia grafologica. Poi si divisero il bottino in una villa. 
Spaggiari era un bandito di origine italiana ma anche un estremista di destra vicino al regime cileno di Pinochet, un ex paracadutista dell’Indocina francese che aveva trovato lavoro in una fabbrica di cassaforti in Senegal (competenza tornata poi molto utile). Scappò negli Stati Uniti, venne arrestato a Nizza nell’ottobre 1976, evase e finì col morire di cancro mentre era nascosto in Italia, in una fattoria di Belluno, a 56 anni. 
Nel mondo della malavita corso-marsigliese e non solo, quella rapina è passata alla storia come talmente gloriosa che nel 2010 un libro firmato con lo pseudonimo di «Amigo» e intitolato La verità sulla rapina di Nizza contraddiceva per la prima volta la versione conosciuta. «Spaggiari nelle fogne non c’era, io sì – era la tesi —. E la mente del colpo sono io».
Infastiditi, i magistrati marsigliesi riaprirono l’inchiesta per scoprire chi fosse Amigo. Impresa non difficile perché da tempo Jacques Cassandri si vantava al bar di essere stato lui il capo banda. Anche i figli lo confermarono agli agenti, che in una delle indagini più semplici delle loro carriere trovarono pure il file del libro nel computer di casa. 
Se Cassandri era così loquace e poco attento a nascondere gli indizi, è per vanità ma soprattutto perché convinto di essere ormai al riparo dalla giustizia, protetto dalla prescrizione. In effetti «il Pelato» oggi è imputato non per rapina – troppo tardi – ma per riciclaggio di denaro sporco. Una mossa giudiziaria che lui non aveva previsto. Adesso rischia altri 10 anni di prigione. «Di quei soldi ho preso solo due milioni e li ho spesi tutti subito», dice. I giudici invece sono convinti che la vita agiata di tutta la famiglia Cassandri derivi da investimenti fatti con il bottino. 
Il patriarca Jacques non ha mai lavorato, ma si definisce come «un uomo d’affari». Ha comprato una casa di montagna in Savoia, una discoteca a Marsiglia, terreni in Corsica, pellicce di visone per migliaia di euro, un ristorante dal nome quanto mai appropriato di «Bella vita». I Cassandri hanno un ruolo importante nella vita notturna marsigliese, ma i loro avvocati devono dimostrare che questo non ha nulla a che vedere con la rapina del secolo.