Corriere della Sera, 14 febbraio 2018
Dopo la Guerra Fredda torna lo scontro diretto in Medio Oriente (e nel Mediterraneo)
L’attacco degli Usa per fermare una colonna di lealisti e russi in Siria ha un valore che supera l’evento bellico ed è parte della trasformazione della crisi in Siria in conflitto internazionale.
Primo. Le due potenze, durante la guerra fredda hanno camminato lungo il precipizio, c’è stato il blocco di Berlino, nel 1960 i sovietici hanno abbattuto l’aereo U2. Ma ora si sono sparati. La regione è piena di armi e di agende contrastanti. Ognuno vuole la propria area di influenza.
Secondo. Il Pentagono ha spiegato la sua azione fornendo dettagli precisi. Ha usato cannoniere volanti, caccia F15, elicotteri Apache, artiglieria sofisticata. Una lista per sottolineare la potenza di fuoco che è pronto ad usare contro chiunque rappresenti una minaccia. A Washington esistono due linee: c’è chi vuole estendere la presenza già costruita su una serie di basi nell’area curda, altri invece preferirebbero sganciarsi fiutando nuovi guai.
Terzo. Nei mesi scorsi ci sono state delle avvisaglie. I russi hanno colpito i ribelli nella parte sudorientale – al Tanf – «sfiorando» team delle forze speciali statunitensi. Poi gli incontri ravvicinati tra velivoli. Situazioni al limite, anche se c’era la volontà di evitare il peggio. E, secondo alcuni, dopo l’elezione di Trump, di co-gestire il dossier. Strade che si sono allontanate perché la Siria è parte del confronto più ampio, dove gli Stati Uniti (con Gerusalemme e sauditi) intendono fermare l’Iran. L’incursione di un drone iraniano in Israele, l’abbattimento di un jet israeliano da parte dei russi-siriani e la conseguente rappresaglia hanno solo confermato la molteplicità di fronti collegati. Anzi, qualcuno potrebbe ipotizzare un link diretto tra le due battaglie.
Quarto. Erdogan è pronto a mollare «lo schiaffo ottomano» sul volto degli Usa accusati di appoggiare i separatisti curdi. Ankara non esclude di bloccare la base di Incirlik e altre installazioni, minaccia di muovere le sue truppe verso i villaggi dove agiscono unità statunitensi e autonomisti del Kurdistan. Il Pentagono risponde a tono. I russi giocano nel mezzo per ampliare il solco tra i due alleati Nato, fare i propri interessi e aiutare Assad. Turchi protagonisti anche nel Mediterraneo dove agitano i pugni per i giacimenti di Cipro.
Quinto. Gli Usa enfatizzano le perdite russe per mettere in difficoltà il nemico. Il Cremlino, per ragioni di politica interna, vuol far passare il messaggio che la vittoria spedizione in Siria ha un costo basso. Ecco perché Mosca ha schierato i mercenari della compagnia Wagner, un modo per risparmiare i soldati regolari. I cittadini – come in qualsiasi altro Paese – non vogliono piangere i morti in un teatro «lontano» e i sondaggi dicono che l’appoggio alla campagna c’è ma è tiepido. Dipende dal prezzo. Per questo i caduti sono un segreto militare, ben conservato. Certamente Putin è il grande arbitro della partita però anche lui deve fare i conti con la realtà. Pochi giorni fa i russi hanno perso un caccia, centrato da un missile degli insorti. Forse un tiro fortunato, ma anche la prova che nulla è certo. Siamo sempre in Medio Oriente.