Corriere della Sera, 14 febbraio 2018
La polizia chiude il dossier Netanyahu. «Incriminatelo per corruzione»
GERUSALEMME Dice di avere il fiuto per tre cose: l’erba di coriandolo, i frutti di Guava e le bugie. Roni Alsheich è il capo della polizia che ha coordinato le indagini attorno al primo ministro Benjamin Netanyahu. Classificati «Caso 1000», «Caso 2000», «Caso 3000» come un’ascensione piena di insidie per arrivare a toccare i vertici del potere.
Dopo un anno di testimonianze, interrogatori anche del premier e della famiglia, documenti raccolti, Alsheich ha presentato le conclusioni degli investigatori. Ad Avichai Mandelblit, il procuratore generale dello Stato, e agli israeliani: il dossier è stato dato da consultare e diffondere ai giornali e alle televisioni. Il commissario e i suoi uomini hanno per ora espresso le loro raccomandazioni solo per i primi due filoni: in entrambi sono state accumulate prove sufficienti – sostengono – per incriminare Netanyahu con le accuse di corruzione, frode e abuso di fiducia.
Nel Caso 1000 è sospettato di aver ricevuto per lui, la moglie Sarah e il figlio Yair regali da uomini di affari (tra loro il produttore hollywoodiano Arnon Milchan) comprese consegne frequenti di costosi sigari accompagnati da bottiglie di champagne rosé, per un totale – calcola la polizia – di un milione di shekel in nove anni (oltre 220 mila euro), doni che gli avvocati della difesa hanno continuato a ripetere erano volontari, senza scambi di favori, offerte di amici e ammiratori del leader. La rivelazione a sorpresa è il nome di un testimone chiave: Yair Lapid, il politico che dall’opposizione punta alla poltrona di Netanyahu.
Il Caso 2000 ruota attorno a una registrazione del 2014 in cui Netanyahu e Arnon Mozes (proprietario del colosso editoriale che pubblica Yedioth Ahronoth, il giornale più letto) provano a mettersi d’accordo: il premier offre al magnate di ridimensionare il principale concorrente¬— quell’Israel Hayom lanciato sul mercato proprio per sostenerlo politicamente – in cambio di articoli ed editoriali più favorevoli da pubblicare su Yedioth. In sostanza il Secondo e il Quarto potere cercavano di firmare un armistizio che garantisse a entrambi la permanenza più lunga possibile al vertice. Di Netanyahu come capo del governo (è in corsa per battere il record di David Ben-Gurion, padre fondatore della patria); di Mozes come leader della stampa e dell’informazione via Internet. Qui i difensori replicano di andare a leggersi Yedioth dopo il 2014: gli articoli critici continuano, di pagine per compiacere il primo ministro ce n’è davvero poche. E fanno notare che la legge per impedire la diffusione di giornali gratuiti come Israel Hayom non è mai passata in Parlamento proprio grazie all’opposizione di Netanyahu.
Che ancora prima dell’annuncio ufficiale di Alsheich parla in diretta televisiva alla nazione. Proclama che resterà alla guida del Paese («ho lavorato tutta la mia vita per Israele»), di essere innocente («io so la verità e finirà tutto in un nulla di fatto»), per poi avvertire: «Questa indagine è stata faziosa, un tentativo di rovesciarmi. Non è la polizia a poter decidere, sono i magistrati». È infatti il procuratore dello Stato che adesso deve scegliere se procedere con l’incriminazione e portare un primo ministro in carica davanti ai giudici.
I commentatori israeliani fanno notare che potrebbero passare mesi prima che Mandelblit dica la sua e in ogni caso Netanyahu – sostenuto dal partito e per ora dal resto della coalizione di destra – già dichiara di non avere intenzione di dimettersi anche se dovesse venire incriminato.