Il Sole 24 Ore, 14 febbraio 2018
La Turchia di Erdogan fa terra bruciata intorno a sé
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan viene spesso accusato di perseguire una politica estera neo ottomana nel tentativo di riportare la Turchia ai fasti imperiali dei sultani. Per ottenere questo risultato Erdogan ha sperimentato la cosiddetta politica di “zero problemi” con i vicini, ma dopo 16 anni di governo i risultati sono stati fallimentari. Ankara ha conflitti in corso con la Siria e rapporti difficili con l’Iraq, l’Iran, l’Armenia, la Grecia, la Bulgaria e da ultimo anche con Israele sulla questione di Gerusalemme capitale. Insomma la politica estera di «zero problemi» con i vicini si è trasformata in «molti problemi con tutti i vicini». Erdogan è al governo ininterrottamente dal 2002 e il suo potere politico si è sempre più radicato sia nel partito di maggioranza, Akp, dove non ha contendenti, sia nel paese dove l’opposizione di sinistra del Chp e del partito curdo HDP fa sempre più fatica ad esprimere una reale contrapposizione.
Così la politica estera di Erdogan assume sempre più i toni autoritari che già contraddistinguono la sua politica interna. Non stupisce dunque apprendere che nella ultima visita a Roma i toni tra Italia e Turchia siano stati formalmente pacati ma distanti nella sostanza. Cosi da venerdì, la marina militare di Ankara blocca le trivellazioni della piattaforma Saipem 12000 dell’Eni al largo di Cipro. Come se non bastasse sale la tensione con Atene.
Dunque Erdogan mostra i muscoli su Cipro perché Bruxelles intenda le ragioni turche in vista del summit del 26 marzo alla presenza del presidente della Commissione Jean-Claude Juncker e di quello del Consiglio europeo, il polacco Donald Tusk.
Tusk non ha mancato di far sentire la sua voce sostenendo i diritti del presidente cipriota Nikos Anastasiadis avvertendo che Bruxelles non accetterà minacce rivolte a qualsiasi paese membro quale è appunto Cipro, un’isola divisa dal 1974 in due zone di influenza e dove nella zona turca Ankara ha un contingente di 40mila uomini armati.
Sullo sfondo c’è il timore che la Ue e Israele si stiano preparando a estrarre il gas dal Mediterraneo facendo a meno della Turchia, finora considerata hub energetico indispensabile per il gas del Bacino del Levante. Ma la volubilità della politica estera di Erdogan, formalmente membro Nato, sta scavando un solco sempre maggiore di diffidenza tra partner occidentali e il governo turco. Erdogan con la sua politica avventurista sta facendo tornare attuale quella che lo storico francese Fernand Braudel nel libro “Mediterraneo”, chiamava cesura di lunga durata che divideva il Mare Nostrum in due parti con una cicatrice mai del tutto rimarginata.