La Stampa, 14 febbraio 2018
Così violenze e abusi di potere mettono a rischio la galassia delle Ong
Mark Twain sosteneva che le idee bisognerebbe lasciarle sempre in cielo. Perché non ce n’è una, per quanto nobile, che scendendo sulla terra non faccia almeno una capatina al bordello. Usare il caso Oxfam per demolire l’interno settore delle organizzazioni non governative sarebbe ingiusto e sbagliato, come sa bene chiunque abbia visto i volontari delle Ong al lavoro nelle situazioni più disperate. Allo stesso tempo, però, sarebbe ingenuo supporre che questo mondo sia esente dalla logica di Twain, perché ciò impedirebbe di affrontare e risolvere i suoi problemi.
Le «non-governamental organization» sono incardinate nell’articolo 71 della Carta dell’Onu, e la Banca Mondiale le divide in due grandi settori: operative, ossia dedicate a fornire assistenza sul campo; e di patrocinio, cioè legate alla promozione di una causa. Secondo i dati raccolti da NonProfit Action, al mondo ci sono circa 10 milioni di Ong, di cui poche migliaia sono accreditate presso l’Ecosoc. Nel 2011 avevano 1,2 miliardi di donatori, che in base alle stime correnti saliranno a 2,5 miliardi di persone entro il 2030. Secondo i calcoli della Johns Hopkins University, se le Ong fossero una nazione, le loro risorse sommate le porterebbero a occupare il quinto posto nella classifica delle economie più ricche al mondo, e dunque a essere membro del G7.
Il lavoro che svolgono è straordinario. Durante il genocidio del 1994 in Ruanda vidi con i miei occhi volontari che dormivano con la pistola sotto al cuscino: non per difendersi in caso di attacco, che sarebbe stato impossibile, ma per suicidarsi, perché non ritenevano di poter sopportare le sevizie che avevano visto infliggere ai loro pazienti. I problemi però sono altrettanto chiari, proprio perché persone messe in queste condizioni possono perdere il controllo, o sentirsi autorizzate a comportamenti inaccettabili in qualunque altro luogo. Tali emergenze, ad esempio, avevano iniziato a documentarle Michael Maren nel libro «Road to Hell», e Linda Polman con «War Games». Uomini e donne sole, in condizioni estreme, senza controlli, con potere assoluto di vita o di morte sui propri assistiti: non tutti sono in grado di resistere alle tentazioni, sentendosi peraltro giustificati dal fatto di rischiare la vita per le loro stesse vittime. È un problema annoso che riguarda anche i Caschi blu dell’Onu, come aveva denunciato in particolare Anders Kompass dell’Ohchr, quando aveva pubblicato illegalmente il rapporto riservato che raccontava i casi di «food for child sex» (cibo per sesso) accaduti durante la missione Minusca nella Repubblica Centrafricana. Dai soldati di pace si pretende una condotta ineccepibile, e giustamente le regole vietano qualunque rapporto sessuale con la popolazione. Però è anche innaturale aspettarsi che un essere umano riesca a restare casto per turni di sei mesi o un anno. L’idea della licenza «R&R», come facevano gli americani all’epoca del Vietnam, non ha risolto il problema, che quindi continua a ripetersi, con i Paesi dai quali provengono i colpevoli che poi sono incaricati di punirli ma invece li proteggono.
Dai volontari delle Ong, percepiti come missionari laici e non solo, ci si aspetterebbe anche di più, ma la natura umana è la stessa. L’elemento dell’advocacy poi complica il giudizio, perché le organizzazioni non governative con posizioni politiche da difendere o affermare escono dallo schermo della neutralità, e si espongono alle critiche di chi la pensa in maniera diversa. Questo ha il doppio effetto negativo di spingere alcune Ong ad agire con motivazioni e obiettivi ideologici, e di incitare i loro avversari a strumentalizzare qualunque errore, allo scopo di usarlo per demolire l’intero impianto dei loro interventi, anche quando sono fondamentalmente sani e utili.
Siccome i fondi per le organizzazioni non governative arrivano insieme dalle donazioni private e dagli Stati, che sollevano da gravose incombenze, il rischio ora è che si prosciughi tanto il fiume dei finanziamenti, quanto l’entusiasmo dei volontari onesti sul campo. Con l’effetto, ad esempio, che i 900.000 africani curati dalla malaria con i 55 milioni di sterline raccolti da Sport Relief, muoiano. Il punto di partenza è togliere il velo di impunità sulle Ong, affinché siano chiari gli standard pretesi dai loro volontari, nella speranza che alla fine il prezzo di questi scandali non lo paghino ancora le vittime.