Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  febbraio 14 Mercoledì calendario

Oxfam. Successi, lotte e passi falsi del colosso della carità nato nelle aule di Oxford

Oxfam è il cassonetto verde pisello per la raccolta degli indumenti usati come la Royal Mail è la cassetta rosso fuoco della posta. Icone riconoscibili, perché fanno parte della storia della Gran Bretagna e del suo paesaggio urbano (e anche rurale, per essere pignoli). Oxfam è anche centinaia di negozi, sempre con l’insegna verde pisello, che vendono prodotti etnici, caffè, tavolette di cioccolata e tè del mercato equo e solidale, provenienti dall’Africa, dall’Asia, dal Sudamerica. Oltre a cd, musica, manufatti vari, abiti usati, scarpe, chincaglieria di ogni genere. Chiunque sia stato anche solo per un week-end di turismo a Londra ci sarà entrato e avrà dato un’occhiata in giro, per cercare un regalino da portare a casa. Magari non sapeva che era un negozio della Oxfam, ma è molto probabile che lo abbia bazzicato, visto che solo in Gran Bretagna ce ne sono 750, oltre la metà dei 1.200 esistenti nel mondo. Per non parlare delle librerie remainders, un centinaio. È il secondo più grande negozio di libri usati di tutta Europa, con più di 12 milioni di volumi venduti ogni anno e anche per questo è stata accusata di danneggiare i venditori locali. Luci e ombre, quindi, anche quando si parla di carità.
Oxfam è stata fondata a Oxford nel 1942 da un gruppetto di sognatori: quaccheri, attivisti e professori della prestigiosa università. Avevano sede al 17 di Broad Street. Ora è una organizzazione caritatevole mondiale, che unisce 17 associazioni umanitarie non governative ideologicamente schierate, che per questo sono finite spesso nella bufera.
Il momento di massima visibilità di Oxfam, a parte quando non è coinvolta in scandali (elusori fiscali tra i suoi finanziatori, con Starbucks per lo sfruttamento dei contadini etiopi, simpatie blairiane al tempo della guerra in Iraq) è a gennaio, quando la Ong lancia i dati sulla povertà nel mondo proprio a ridosso di Davos, il summit dei grandi ricchi. Anche quest’anno ha snocciolato le cifre: l’82% della ricchezza creata nel 2017 è andato ad arricchire l’1% dei più ricchi, mentre la metà dei più poveri del mondo non ha avuto niente.
«Il potere della gente contro la povertà» è uno degli slogan. Per i più, contro i pochi, un motto molto vicino a quello della sinistra di Corbyn. Con il quale la Oxfam condivide anche la causa palestinese, fonte di un altro inciampo accaduto qualche anno fa, quando l’attrice Scarlett Johansson girò uno spot per la SodaStream, una società israeliana che produce bibite gasate nei territori occupati della Cisgiordania. Johansson che era ambasciatrice di Oxfam, fu presa di mira dagli attivisti pro Palestina e alla fine lasciò la Ong. Qualche tempo dopo il capo di Oxfam ammise che la polemica fu uno sbaglio e che per il caso SodaStream-Johansson avevano perso un sacco di donatori.
Le polemiche sono lo scotto da pagare quando diventi un colosso della carità, con numeri da fare impressione a una multinazionale. Solo in Inghilterra ha 23mila volontari e 5mila impiegati e nell’ultimo bilancio disponibile, quello del 2016/2017 sono state raccolte donazioni per 408,6 milioni di sterline. Sono mezzo milione i donatori registrati solo in Gran Bretagna, dove il concetto di beneficenza è completamente diverso da quello continentale. È vero che qui la donazione si deduce, e molti donano anche perché fa parte dell’etica protestante. Ma comunque alla Maratona di Londra è facile vedere corridori con la scritta «raising money for Oxfam» (raccolgo soldi per Oxfam) e ogni anno ci sono eventi sportivi e corse di raccolta fondi molto popolari. In genere sono sfide, tipo team di amici che corrono 100 chilometri in 48 ore. Nel mondo, per questo tipo di raccolte, solo nel 2012, 22mila persone hanno camminato per 2.2 milioni di chilometri raccogliendo 18 milioni di dollari. In Inghilterra c’è addirittura un OxJam, un festival musicale organizzato dalla ong e anche a Glastonbury, il Festival di musica per eccellenza, il servizio d’ordine è fatto da volontari di Oxfam.
E sotto Natale è comune ricevere un regalo solidale di Oxfam. Invece della solita cravatta da riciclare l’anno seguente, si fa una donazione e si regala qualcosa di utile nei paesi del terzo mondo. Per 15 euro si dona una gallina, una capra per 20, 60 euro una macchina da cucire, un asino 70 oppure una mucca per 400. «Il miglior modo di combattere la povertà e l’ingiustizia è aiutare qualcuno ad aiutare se stesso» dicono a Oxfam. Sono stati accusati di neocolonialismo della carità.
Ieri l’account twitter registrava due tipi di reazione: dovreste vergognarvi, finti moralisti dalla doppia morale, la prima. Non buttiamo via il bambino con l’acqua sporca, la seconda. Voi scegliete quale preferite.