Corriere della Sera, 13 febbraio 2018
In morte di Giuseppe Galasso
La storia era la grande passione intellettuale di Giuseppe Galasso. Non solo quella del Regno di Napoli, a cui aveva dedicato un’opera monumentale e fondamentale in più volumi, edita da Utet. O quella del Risorgimento e delle sue correnti democratiche, agli ideali delle quali si era sempre richiamato nel suo lungo impegno politico. Ma proprio il sapere storico come chiave d’accesso privilegiata a quanto di specifico vi è nell’esperienza umana, la storia come dimensione nella quale tutti noi ci muoviamo, operiamo, lottiamo, sbagliamo, costruiamo e distruggiamo. D’altronde lo studioso napoletano, scomparso nella sua abitazione di Pozzuoli all’età di 88 anni, era forse l’erede più fedele e certamente uno degli interpreti più acuti del pensiero storicista di Benedetto Croce.
Per questo, dalle colonne del «Corriere» o altrove, difendeva l’autonomia della storia con un accanimento insolito per lui, persona bonaria e cortese: un autentico gentiluomo meridionale che, come ha osservato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo messaggio di cordoglio, alla solida e vastissima cultura sapeva «unire una ricca umanità e una incrollabile passione civile». Galasso non accettava che si potesse pensare di riassorbire la storia nelle scienze sociali o renderla comunque subalterna ad altre discipline. Nel perorarne la causa poteva diventare sferzante, la sua serena ironia a volte si mutava in sarcasmo. E nutriva qualche riserva anche sulla pur prestigiosa scuola storiografica delle «Annales», che a suo avviso aveva un po’ troppo ceduto sul fronte della contaminazione con altre forme di conoscenza, lui che pure aveva dedicato una studio denso e originale come L’altra Europa (Mondadori, 1982; Guida, 2009) all’antropologia dell’Italia meridionale.
Nato a Napoli il 19 novembre 1929, da ragazzo Galasso non aveva avuto una vita facile. Figlio di un artigiano vetraio, era rimasto orfano di madre nel 1941 e aveva fatto un po’ di tutto, anche lo sguattero e il facchino, per aiutare a mandare avanti la famiglia. L’intenso amore per la lettura, maturato precocemente, ne aveva poi indirizzato il percorso. Si era laureato in Storia medievale e nel 1953 aveva vinto una borsa al crociano Istituto italiano di studi storici, del quale era divenuto segretario nel 1956. La sua carriera accademica era stata rapida e brillante, tanto da caratterizzarlo già negli anni Sessanta come una figura emergente della storiografia dell’età medievale e moderna. In seguito, dal 1972 al 1979, era stato preside della facoltà di Lettere e filosofia all’Università Federico II di Napoli, poi tra il 1978 e il 1983 presidente della Biennale di Venezia.
Al lavoro d’insegnamento e ricerca Galasso aveva abbinato l’attività politica, della quale sapeva affrontare anche le asprezze senza farsene trascinare, comunque sempre molto attento alla sua base elettorale. Aveva affiancato Francesco Compagna nella rivista «Nord e Sud», la voce più colta e aggiornata del meridionalismo liberaldemocratico, e aveva intrapreso un confronto serrato con la sinistra comunista, di cui è testimonianza il dialogo con Gerardo Chiaromonte raccolto nel libro sui problemi del Sud L’Italia dimezzata (Laterza, 1979). Consigliere comunale del Partito repubblicano, Galasso era stato eletto sindaco di Napoli nel 1975, ma aveva dovuto rinunciare all’incarico nell’impossibilità di trovare un accordo tra i partiti per formare la giunta.
Più tardi era approdato alla politica nazionale. Eletto deputato del Pri nel 1983, aveva assunto l’incarico di sottosegretario ai Beni culturali nel governo guidato da Bettino Craxi e si era distinto per il suo impegno a favore dell’ambiente. Soprattutto era riuscito a far approvare nel 1985 il provvedimento noto appunto come «legge Galasso», la prima disciplina organica adottata nell’Italia repubblicana per la tutela del paesaggio. Poi era stato sottosegretario anche all’Intervento pubblico nel Mezzogiorno nei governi De Mita e Andreotti. Aveva terminato la sua esperienza a Montecitorio con il crollo della Prima Repubblica nel 1994.
L’addio al Parlamento non aveva però segnato la fine della presenza di Galasso nella vita pubblica. Per certi versi si erano anzi intensificati il suo lavoro scientifico e la sua partecipazione al dibattito culturale. Era stato tra gli artefici principali della riscoperta di Croce, curando per Adelphi la nuova edizione delle opere del filosofo idealista, sul quale aveva ripubblicato con Laterza, nel 2002, il fondamentale saggio Croce e lo spirito del suo tempo, uscito originariamente presso il Saggiatore nel 1990. Ed era impressionante il ritmo con cui, in età ormai piuttosto avanzata, Galasso aggiornava i suoi libri o ne produceva di nuovi, sul Risorgimento, sull’identità italiana, sulle diverse tappe della storiografia.
Si possono ricordare a tal proposito la rassegna Storici italiani del Novecento (il Mulino, 2008), la Prima lezione di storia moderna (Laterza, 2008), la serie di cinque volumi L’Italia nuova (Edizioni di Storia e Letteratura, 2011-2012), il libro La Calabria spagnola (Rubbettino, 2012), le riflessioni contenute nel saggio Liberalismo e democrazia (Salerno, 2013). Da ultima era uscita l’anno scorso da Laterza la sua Storia della storiografia italiana.
Massimo studioso del Regno di Napoli, proprio perché conosceva la materia a fondo non teneva in nessun conto il presente revival neoborbonico, che riteneva del tutto infondato e strumentale: più volte ne aveva segnalato la scarsa consistenza sul «Corriere del Mezzogiorno». Anzi Galasso, napoletano affezionatissimo alle usanze della sua terra, nel bicentenario della nascita di Cavour aveva scritto la prefazione per una raccolta di scritti del conte piemontese curata da Adriano Viarengo (Bur, 2010), sottolineando con forza la vocazione nazionale della politica seguita dal grande statista. Non più tardi dello scorso 12 novembre aveva attirato un pubblico folto e attento al teatro Bellini di Napoli con una lezione sulla Repubblica napoletana del 1799, bestia nera dei sanfedisti di allora e di oggi, organizzata dall’editore Laterza.
Nel 2000 Galasso aveva ripreso la testata «L’Acropoli» – rivista a suo tempo diretta dallo storico Adolfo Omodeo, esponente del Partito d’Azione – per pubblicare un bimestrale, edito da Rubbettino, nel quale abbinava gli interventi sull’attualità (il gusto per la polemica politica in lui non era mai venuto meno) e i contributi di ricerca. Il suo ultimo editoriale, che uscirà postumo e anticipiamo online sul nostro sito web, era dedicato al voto politico del 4 marzo. Qui segnalava con una certa apprensione il pericolo che l’Italia, dopo il verdetto delle urne, si trovasse «a partire da un nuovo inizio, da zero». Per un autore come Galasso, che aveva così forte il senso della storia, sarebbe stata la situazione peggiore.