Corriere della Sera, 13 febbraio 2018
Grecia, sette anni di medicina amara. È guarita? Adesso non fa più paura
Atene Il tempismo in politica è tutto e in autunno di fatto comincerà la campagna elettorale ad Atene, dove si voterà nel settembre 2019, ma anche in Europa dove si andrà alle urne per rinnovare il Parlamento Ue in primavera. Il premier di estrema sinistra Alexis Tsipras, che ha dovuto far digerire ai greci l’austerity di Bruxelles, e la Commissione europea che si è spesa per evitare la Brexit vogliono presentarsi all’appuntamento con la conclusione del programma di aiuti e relativo pacchetto di riforme concordato con i creditori internazionali nell’agosto 2015, al termine di un drammatico negoziato che ha evitato ad Atene la bancarotta. Per Tsipras è fondamentale «ricostruire con i partner europei e le istituzioni internazionali fiducia e credibilità».
La Commissione europea, da parte sua, ha l’interesse che questo agosto la Grecia torni un «Paese normale», recuperando la piena sovranità con il congedo definitivo dalla troika (i rappresentanti di Bce, Fmi, Commissione Ue e Esm), per dimostrare di essere stata «dalla parte giusta della Storia» come ha detto il commissario Ue agli Affari economici. Pierre Moscovici era ad Atene la scorsa settimana per fare il punto sull’accordo «post programma», ovvero su come il Paese ha intenzione di portare avanti le riforme anche dopo la fine del commissariamento, e per discutere sull’alleggerimento del debito per renderlo sostenibile (nel 2016 era al 180,8% del Pil, e lo scorso anno al 179,6% secondo le Previsioni di autunno della Commissione Ue).
A nessuno,né a Syriza né ai tradizionali partiti europei pro Ue, conviene presentarsi con una sconfitta. Il clima è già teso per lo scandalo sulle presunte tangenti pagate dal colosso farmaceutico Novartis ad alcuni esponenti del governo tra il 2006 e il 2015 e che coinvolgerebbe anche l’ex premier Georgios Samaras e l’attuale commissario Ue per le Migrazioni Dimitris Avramopoulos, esponenti del partito Nuova Democrazia. A scaldare gli animi c’è poi la disputa con la Macedonia sul riconoscimento del nome. Il ritorno sui mercati di Atene sarà un momento delicato ed è per questo che il ministro delle Finanze Euclid Tsakalotos ritiene fondamentale dare un segnale di «clean exit ai Paesi membri» e dimostrare che il governo è «proattivo anziché reattivo» sul fronte delle riforme, presentando all’Eurogruppo «un piano di crescita greco» che tocchi tutti gli ambiti dello Stato, «in modo che ad agosto non ci siano sorprese per nessuno: Stati, mercati, popolazione e istituzioni. La Grecia vuole la titolarità delle prossime riforme».
L’accordo tra i creditori internazionali prevedeva un prestito da 86 miliardi sborsato dal fondo salva stati Esm in più tranche legate al conseguimento di alcuni risultati di bilancio e di riforme attuate. La quarta e ultima revisione è prevista entro maggio per permettere all’Eurogruppo di giugno di scrivere la parola fine al salvataggio greco: una crisi del debito scoppiata nel 2010, che ha portato a un crollo dell’economia e all’impoverimento dei greci (il tasso di disoccupazione ha toccato il 27,5% nel 2013 e quella giovanile il 58,3%, ora rispettivamente al 20,7% e al 47,3%). I creditori internazionali hanno messo in piedi tre piani di aiuti per oltre 300 miliardi. «Non vogliamo il quarto», ha detto Moscovici. «Il 90% del programma è stato completato, resta però ancora molto da fare», spiegano i tecnici della Commissione Ue: il Paese che uscirà dal terzo piano avrà una struttura amministrativa moderna, con importanti riforme a buon punto, a partire dalla pubblica amministrazione e da un nuovo sistema pensionistico per arrivare alla creazione di un catasto e alle privatizzazioni. «Ma se non ci fossero problemi – ha concluso Moscovici – non saremmo qui. Non c’è tempo per rilassarsi. Per avere un’amministrazione forte e moderna c’è ancora strada da fare».