Corriere della Sera, 13 febbraio 2018
Un bambino difficile
La madre di un bambino esageratamente vivace a causa di un disturbo neurologico si affaccia al Caffè per denunciare la disumanità dei genitori di una scuola elementare cattolica che hanno ottenuto l’allontanamento di suo figlio. Sono gli stessi, dice, che predicano l’accoglienza del «diverso», ma solo finché rimane lontano dal loro cortile di casa. La rabbia della madre è comprensibile. Soltanto lei può sapere quanto soffra il figlio e quanto la discriminazione inflittagli accresca il senso di inadeguatezza che è alla base del suo malessere. Ma se ascoltassimo la campana dei genitori che ne hanno preteso la cacciata, probabilmente racconterebbero che la piccola peste disturbava gli altri bambini al punto da rendere necessaria una scelta netta: o lui o loro.
Sono gli stessi discorsi che si ascoltano a proposito dei migranti e di qualsiasi forma di «diversità» che irrompe nelle vite ordinarie e minaccia di deviarne il corso. La reazione è sempre semplificatoria: accoglienza acritica o rifiuto pregiudiziale, come se la vita assomigliasse alla mela di Biancaneve. Invece è una faccenda più complessa e il compito della politica consiste nel cercare soluzioni altrettanto complesse, anziché accodarsi al luogo comune, buonista o cattivista che sia. Tra allontanare un bambino difficile e costringere i suoi compagni a subirne gli umori, una società matura deve pur trovare un modo per trattenerlo a scuola, senza fare pesare la decisione sugli altri.