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 2018  febbraio 13 Martedì calendario

Vegani pentiti

Non spariranno mai, perché le mode cosi diffuse tendono a stabilizzarsi, piuttosto che a scomparire. Ma chissà che nel panorama del politeismo alimentare un giorno i vegani non vengano scavalcati dai bevitori di acqua piovana. O, tutt’al più, si affianchino a loro. Di certo c’è che, per la prima volta nell’ultimo lustro, la loro rappresentanza è calata in maniera sensibile.
Secondo l’Eurispes coloro che consumano soltanto alimenti di origine vegetale e hanno scelto di rinunciare pure ai derivati animali – miele, latte, formaggi, burro, pasta all’uovo, prodotti preparati con lo strutto – rappresentano meno di un italiano su cento: un terzo rispetto alla quota registrata nel 2016. In leggero aumento è invece la quota di vegetariani: di poco superiore al sei per cento. Nella loro dieta trovano spazio i derivati animali e in alcuni casi pure il pesce: scelte che assicurano maggiore agio al consumatore, soprattutto lontano da casa.
L’indagine Eurispes
Numeri alla mano, il totale dei maggiorenni che lungo la Penisola rinunciano alla carne, al pesce e/o ai loro derivati (cioè vegetariani e vegani) è compreso tra quattro e cinque milioni. Il rilievo di Eurispes fa però segnare un repentino cambio delle abitudini visto che nello stesso rapporto dello scorso anno l’impatto dei vegani sulla popolazione era addirittura triplicato: dall’uno al tre per cento.
Come provare a leggere queste statistiche? Non trascurando innanzitutto l’estrema provvisorietà di queste scelte, che nel caso specifico possono aver portato migliaia di vegani a trovare un equilibrio più stabile nella scelta vegetariana. A ciò occorre aggiungere le difficoltà che nel nostro Paese i vegani incontrano ancora nel vedere rispettata la propria scelta quando mangiano lontano da casa. Il disagio non si registra tanto nelle cene tra amici, nei bar o nei ristoranti. Quanto per gli spuntini che si ricercano durante un viaggio – in aeroporti, stazioni, navi e autogrill – o in occasione di eventi e banchetti. Ostacoli che non sembrano essere diminuiti rispetto agli anni precedenti, nonostante la promozione che accompagna da tempo la scelta «veg» soprattutto nelle grandi città.
A ciò occorre aggiungere le considerazioni espresse nel corso delle interviste da quasi un italiano su tre, secondo cui la dieta vegana è «estrema e radicale». Mentre poco meno di un italiano su cinque ritiene questo stile di vita sovente accompagnato da «fanatismo e intolleranza». Dati che, messi assieme, evidenziano come il nostro Paese sia spaccato in due di fronte a questa scelta: tra chi le riconosce un’accezione positiva (50,6 per cento) e quanti rimarcano invece gli aspetti negativi (49,4 per cento).
I motivi della scelta
Le ragioni che conducono gli italiani a escludere dalla tavola le pietanze di origine animale sono sempre le medesime: di natura etica o salutistica. Sono evidentemente più sentite quelle dei praticanti delle varianti più estreme del veganesimo: come i crudisti (uno su tre, rispetto al totale dei vegetariani) e i fruttariani (quasi uno su quattro), che si ineriscono nella galassia «veg» assieme ai raccoglitori (mangiano solo ciò che cade dagli alberi) e ai pesco-vegetariani (per cui l’unico divieto è per la carne di volatili e animali terrestri).
Twitter @fabioditodaro
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Intervista all’antropologo Marino Niola
Tra la tavola e la politica c’è molta meno distanza di quella che si possa pensare. «Le tribù alimentari si stanno riorganizzando, con la tendenza a ricollocarsi verso il centro» esordisce l’antropologo Marino Niola, direttore del centro di ricerche sociali sulla dieta mediterranea dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, provando a mettere in fila i dati del rapporto Eurispes. «Ma guai a farsi ingannare: la radicalizzazione delle abitudini è tuttora in corso. Altrimenti non avremmo una percentuale di ristoranti che propongono menù vegetariani e vegani superiore a quella dei consumatori».
Se è così, perché allora in Italia il numero dei vegani è in diminuzione?
«La scelta vegetariana è meno estrema e più sostenibile. E siccome la tavola è la cartina al tornasole dell’evoluzione sociale, oggi si preferisce un porto più sicuro: senza però rinunciare al proprio credo, in questo caso alimentare».
Essere vegani è più difficile, oltre che dispendioso?
«Il rapporto dice che mangiare quando si è in viaggio è meno agevole, questo sì. Ma l’aspetto economico non c’entra, perché per un piatto di spaghetti al pomodoro non si arriva a spendere un euro. Il problema, piuttosto, è un altro: spesso chi sposa queste mode volta le spalle pure alla tradizione, preferendo consumare alimenti che non appartengono alla nostra cultura. Penso alle polpette di seitan e agli hamburger di soia e mi chiedo quali colpe debbano espiare i cavatelli con i ceci».
Osservando gli italiani a tavola, quali sensazioni possiamo scorgere?
«L’individualismo, un atteggiamento controculturale nei confronti di ciò che ci appartiene e di sfiducia nel rapporto con le istituzioni. Viviamo in una società in cui il rito del pasto è diventato un momento di distinzione e di divisione, piuttosto che di aggregazione. Dimmi come mangi e ti dirò chi sei, era solito ripetere Feuerbach. Oggi siamo vicini al polo opposto: arriverà il giorno in cui dovremo chiedere al nostro interlocutore cosa non mangia per avvicinarci alle sue idee».
Quale ruolo sta avendo il web in questa metamorfosi sociale?
«La rete allarga la forbice tra il vegano reale e quello percepito. Ma il discorso potrebbe essere esteso a tutte le contrapposizioni tra chi ambisce al primato della natura e chi si schiera a favore del progresso tecnologico. Le minoranze, sul web, diventano rumorose. E ci fanno ascoltare o leggere pensieri che non riuscirebbero mai a esternare, in un confronto faccia a faccia».
Quale sarà la prossima frontiera della tribalizzazione alimentare?
«Per ritrovare l’equilibrio dovrebbero aumentare gli onnivori, ma ciò non accadrà fino a quando i consumatori di carne saranno considerati alla stregua dei nemici. Invece, a partire dagli Stati Uniti, si stanno diffondendo i bevitori di acqua piovana. Il loro tentativo di riportare l’uomo allo stato di natura mi fa venire in mente Rousseau, esattamente come il Movimento 5 Stelle».

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