La Stampa, 13 febbraio 2018
Nel dibattito in Parlamento l’ultimo show della vecchia Italia
A rileggere oggi gli atti parlamentari che registrarono le discussioni sulla legge Merlin si è colti come da un senso di vertigine, scaraventati in un paradosso temporale quasi fossero passati molti più di sessanta anni da allora. In fondo, la proposta di legge chiedeva al Parlamento solo di sancire per lo Stato il divieto di ingerirsi nella gestione diretta di un fenomeno come la prostituzione la cui struttura – la vendita del proprio corpo da parte della donna – era in palese contrasto con gli articoli della Costituzione che tutelano le libertà individuali. In realtà, una scelta comune sia agli abolizionisti sia ai loro avversari fu quella di confrontarsi solo marginalmente con questi aspetti; come oggi la prostituzione viene vista soprattutto nell’ottica dei problemi di ordine pubblico che ne derivano, allora furono i risvolti medico-sanitari del fenomeno a essere ossessivamente al centro dell’attenzione dei nostri deputati.
Il Parlamento fu così invaso da un profluvio di previsioni e statistiche «scientificamente rilevate» sulle malattie veneree, in una discussione che presentò aspetti sconcertanti; nel tentativo di calcolare le probabilità di infezione nell’ambito della prostituzione «regolamentata» rispetto a quella «libera», molti parlamentari si abbandonarono a calcoli perlomeno bizzarri sul rapporto esistente tra il numero dei coiti quotidianamente sostenibili da una prostituta e quello dei potenziali contagi. Calcolando gli intervalli per i pasti e il riposo, gli antiabolizionisti prospettavano non più di 20 amplessi al giorno nelle case di tolleranza, contro i 50 previsti per le prostitute «libere»: «Onorevole Merlin», a parlare era Gaetano Pieraccini, peraltro compagno di partito della senatrice, «ella ha parlato di 100 sedute d’amore al giorno per ogni donna di postribolo. Ciò non è possibile, è una esagerazione perché se si realizzassero cento coiti al giorno, calcolando anche 15 minuti per ciascuna seduta, 100 sedute richiederebbero 25 ore! Abbassiamo il tempo della ricreazione: portiamolo a 10 minuti. Ci vogliono sempre 17 ore circa. Per contro le libere – pur dovendo dare la caccia ai clienti – avranno un maggior numero di sedute per la maggiore facilità degli approcci».
Le statistiche sulla diffusione delle malattie veneree venivano puntigliosamente spulciate e le stesse percentuali invocate a sostegno di entrambe le tesi. Così, da un lato si sosteneva che la sifilide dal 1945 era aumentata in modo considerevole, con una media calcolabile intorno alle 30 mila infezioni annue; dall’altro si negava ogni incremento verificabile, con gli antiabolizionisti che attribuivano alle case chiuse il merito di un’attenta opera di contenimento. E accanto a questi ping-pong quantitativi, c’era spazio per imbarazzanti disquisizioni sia sulle caratteristiche biofisiche e psicologiche delle prostitute (con una loro catalogazione in modelli clinici di stampo lombrosiano), sia sulle deviazioni degli istinti sessuali che il ricorso a rapporti mercenari poteva indurre negli uomini-clienti: «Del resto ci sono delle ricerche sui valori mentali delle prostitute. Così quelle raccolte dal Bonhofer, dalle quali risulta che su 100 prostitute, 31 sono idiote, 13 epilettiche o isteriche, 21 alcolizzate, 1 paralitica e 32 intellettualmente normali», aveva gridato il senatore dc Michele Di Pietro.
Conficcate nel cuore del ’900, queste affermazioni sembravano rimbalzare direttamente dalle lontane acquisizioni del positivismo ottocentesco, inchiodando quella classe politica a una cultura ossificata, angusta, ancora segnata dalle tradizioni e dai valori di un paese contadino. In questo senso l’approvazione della legge Merlin segnò un deciso spartiacque tra due Italie, diverse e distanti. Intorno al tema specifico della prostituzione si addensavano alcuni nodi culturali e ideologici (la famiglia, le norme di etica sessuale, il ruolo della donna, la morale pubblica e privata) ancora vistosamente segnati dalle origini rurali e colti alla vigilia del loro impatto con le profonde modifiche strutturali subite dal paese negli Anni 50. L’irruzione di nuovi valori, legati a un cultura già di tipo industriale, nella sfera dei bisogni privati degli individui, incrinò antiche certezze e spazzò via molti stereotipi e luoghi comuni. La legge Merlin intercettò questi cambiamenti, dando loro una piena visibilità politica e istituzionale.