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 2018  febbraio 13 Martedì calendario

Veniva approvata 60 anni fa la legge che abolì le case di tolleranza. Le lettere delle signorine alla protagonista di quella battaglia

«Cara Signora deputatessa senatrice sono una di quelle», sono «una signorina», «sono una figlia di NN e faccio il mestiere»: così si firmavano tante «belle di giorno» che inviavano numerose lettere alla socialista Angelina Merlin detta Lina. Antifascista a fianco di Giacomo Matteotti, condannata al confino da Mussolini e poi prima donna a conquistarsi lo scranno di senatrice, la Merlin fu una grande madre costituente in lotta per i diritti femminili (a lei si deve l’introduzione dell’espressione «senza distinzione di sesso» nell’articolo 3 della Costituzione dedicato all’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge).
Nel 1948, sostenuta da Umberto Terracini, presentò in Parlamento il suo disegno per l’abolizione delle case chiuse in Italia che fu approvato dopo dieci anni e un’aspra lotta combattuta anche su moltissimi giornali e testate popolari. Volendo far sentire la propria voce, numerose «signorine» si rivolsero direttamente alla Merlin. Il 20 febbraio ricorrono 60 anni dall’approvazione di questa fondamentale normativa che cancellò le case di tolleranza introducendo i reati di sfruttamento, induzione e favoreggiamento della prostituzione. E adesso ri-escono (sul sito della Fondazione Kuliscioff) proprio le Lettere dalle case chiuse indirizzate alla Merlin (già pubblicate nel 1955 dalle edizioni «Avanti!»), mentre appare da Marsilio il volume dedicato a La senatrice. Lina Merlin, un «pensiero operante» a cura di Anna Maria Zanetti e Lucia Danesin.
Il libro delle lettere alla Merlin toccava un nervo scoperto della pubblica opinione: Indro Montanelli nel 1956 rispose addirittura con un libello polemico, Addio, Wanda!, in cui spiegava che in Italia «un colpo di piccone alle case chiuse fa crollare l’intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia». Però le case – dette chiuse dalle persiane sempre sigillate – andavano veramente picconate: le testimonianze delle prostitute ancora oggi ci colpiscono per la miseria e per la durezza delle loro condizioni di vita. Persino nelle residenze apparentemente più sofisticate ed eleganti regnavano povertà, sporcizia e totale carenza del controllo igienico-sanitario da parte di medici quasi sempre corrotti.
Tremila «schiave»
Le donne che nel 1948 risiedevano in queste maison – di cui Benedetto Croce diceva «eliminando le case chiuse non si distruggerebbe il male che rappresentano, ma si distruggerebbe il bene con il quale è contenuto, accerchiato e attenuato quel male» – erano circa tremila in oltre 700 casini. E si trovavano in condizione di schiavitù: dovevano garantire un certo numero di rapporti quotidiani (superiore ai 30), avevano orari incalzanti («dalle 10 all’una, dalle 2 alle 8, dalle 9 alle 24, non ti lasciano che il tempo di mangiare e di lavarti la faccia») a cui si aggiungeva anche l’esibizione dietro gli «specchi americani» per i voyeur. Quasi nessuna ragazza godeva di una stanza singola e a volte nemmeno di un proprio materasso.
«La nostra pelle è grigia e avvizzita», protestava un’altra cosiddetta cortigiana: non potevano uscire e nemmeno fare acquisti fuori dal bordello poiché i proprietari vendevano a prezzi maggiorati biancheria, disinfettanti, saponi e profumi. «Non è vero che una donna può rifiutare qualche cosa al cliente... cliente scontentato, rinnovo perso... e la voce corre e le case non vogliono donne “schizzinose”»: così una fanciulla spiegava che non ci si poteva mai sottrarre alle prestazioni richieste.
«I soldati si solleveranno»
«Dicono che non abbiamo voglia di lavorare ed è per questo che facciamo questa vita», rilevava una «signorina», sottolineando invece che la maggioranza di loro aveva bimbi da mantenere e che a 40 anni una che faceva il mestiere era da buttar via. Se si voleva provare un’esistenza diversa mancava il libretto di lavoro che non si poteva ottenere senza il permesso di residenza il quale a sua volta non veniva concesso se non si aveva un lavoro, ma nessuno assumeva un’ex prostituta. E se un’ex meretrice era pronta a convolare a nozze con un militare di carriera, il ministero dell’Aeronautica negava l’autorizzazione. Se voleva aprire un negozio, non le era concesso. In molte si rivolsero disperate alla Merlin pure per trovar lavoro. Tra le corrispondenti vi erano poi anche le lucciole a favore dell’istituzione. «Cara Merlin, alla Camera la legge non passerà! Vi sono giovani robusti che vogliono fare all’amore al sicuro, ed i militari si solleveranno se chiuderanno le nostre case!».
La legge Merlin invece passerà e i turpi lupanari dal settembre del 1958 saranno trasformati in patronati per l’assistenza alle ex prostitute. Non funzioneranno e saranno mal gestiti nell’ostilità di quanti avevano avversato il provvedimento. La senatrice conseguì comunque un gran successo nella liberazione delle donne e nell’eliminazione del loro sfruttamento gestito dallo Stato. Era un gran passo avanti per compierne tanti altri che poi non furono mai fatti.