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 2018  febbraio 13 Martedì calendario

Il giallo del suicidio in cella dell’ambientalista iraniano

Un «patriota» che aveva combattuto volontario nella guerra Iran-Iraq, era stato ferito, per diventare poi il più appassionato difensore dell’ambiente nel suo Paese. E che improvvisamente si sarebbe trasformato in una spia, al soldo di potenze straniere, per finire suicida in carcere, sotto il peso delle accuse e della vergogna. A questa storia i familiari di Kavous Seyed Emani, accademico, ambientalista, sociologo, una delle maggiori figure intellettuali in Iran, con cittadinanza anche canadese, non vogliono credere. E si stanno battendo per ottenere la verità dalle autorità giudiziarie, che venerdì 9 febbraio hanno annunciato la morte di Emani, dopo averlo arrestato il 24 gennaio.
I giudici hanno informato la famiglia che il corpo sarà restituito questa mattina, a patto che sia sepolto «immediatamente e senza clamore» ma i familiari hanno ribattuto che le autorità devono «autorizzare una autopsia indipendente e trasparente, in modo che i suoi cari e l’opinione pubblica possano conoscere la causa della morte». Per le autorità l’autopsia è «già stata eseguita», anche se non sono stati resi noti i risultati. Una conclusione inaccettabile dalla famiglia, perché «non puoi essere allo stesso tempo l’accusato e colui che conduce le indagini». Il funerale è previsto oggi nel villaggio natale dell’accademico, Amameh, sulle montagne a Nord di Teheran
Emani, docente all’università Imam Sadigh e direttore del Persian Wildlife Eritage, era finito in una retata che aveva coinvolto numerosi ecologisti. L’accusa era quella di aver usato le perlustrazioni dei siti minacciati, a scopo scientifico, come copertura «per attività di spionaggio». Gli arresti sono arrivati nel clima di repressione che è seguito alle proteste di Capodanno, quando migliaia di persone erano scese in strada a protestare contro le riforme economiche, gli aumenti dei prezzi, la disoccupazione e la corruzione.
La battaglia ecologista di Emani aveva i suoi risvolti politici, soprattutto per le critiche allo sfruttamento dissennato delle risorse idriche, che ha aggravato la siccità cronica in vaste aree del Paese. Il docente non era però «un attivista politico» insiste la famiglia. Al suicidio non crede per primo il figlio Ramin, un musicista apprezzato: «È semplicemente impossibile», ha scritto sul suo profilo Instagram. Un gruppo di colleghi e accademici iraniani ha scritto al presidente Hassan Rohani per chiedere risposte convincenti: «Ci aspettiamo come minimo – hanno ribadito – che venga avviata subito un’indagine seria e che le istituzioni coinvolte debbano rispondere».
I giudici sono rimasti sulle loro posizioni. Un portavoce, Gholamhossein Mohseni ha ribattuto che la morte di Emani è «sottoposta a investigazioni». Ma per il Center for Human Rights in Iran «il sistema giudiziario è fuori controllo, e sta massicciamente collaborando a coprire la verità». Altri due attivisti sono morti in carcere negli ultimi mesi, si sospetta per torture. L’Onu, ha fatto sapere il portavoce di Antonio Guterres, Stéphane Dujarric, segue «gli sviluppi» con «grave preoccupazione». Il Canada, che segue il caso del suo cittadino, ha rotto le relazioni con la Repubblica islamica nel 2012. È l’Italia a curarne gli interessi.