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 2018  febbraio 13 Martedì calendario

La mossa europea sul nucleare iraniano. Cambiare l’accordo per evitare le sanzioni Usa. I nodi dell’intesa

Dopo il burro, i cannoni. A Davos si è parlato di economia. A Monaco, fra tre giorni, entra in scena la sicurezza. Tutti gli occhi saranno puntati sulla Russia che ha appena ammesso di aver schierato gli Iskander a Kaliningrad.
Ma per gli europei la questione più urgente riguarda l’Iran. Il rapporto con Mosca si gioca in tempi lunghi fra deterrenza e dialogo. Quello con l’Iran è legato alle sorti dell’accordo nucleare (Piano d’azione congiunto globale – Jcpoa) che potrebbe venir meno prima dell’estate.

Le capitali europee, specie Londra e Parigi, stanno rapidamente pensando a come evitarlo – senza rompere con Washington. Giocano contemporaneamente tre partite: quella della non proliferazione nucleare; quella del contenimento dell’espansionismo iraniano; quella della solidarietà atlantica. La prima richiede il mantenimento dell’accordo, anche per evitare una corsa all’atomica in tutto il Medio Oriente; la seconda, un forte messaggio di dissuasione a Teheran; la terza, la sinergia con un’amministrazione Usa che spesso sovrappone intenzioni a strategia.
Gli europei sono presi fra scommessa del dialogo con Teheran e impossibilità d’ignorare la condotta iraniana, dal programma missilistico ai diritti umani. Girare la testa dall’altra parte alla seconda diventa sempre più difficile. Non lo permettono più non solo la posizione di Washington, ma anche la dinamica delle crisi in Siria e l’estendersi dell’influenza iraniana. L’Iran si spinge ormai, per procura, ai confini dell’Arabia Saudita tramite gli Houthi in Yemen, e a quelli di Israele tramite Hezbollah in Siria e in Libano. Destabilizzazione nel nostro vicinato.
L’Europa vuole salvaguardare l’accordo nucleare con Teheran. Ha ottimi motivi di sicurezza ancor prima che economico-commerciali. Il caso nord-coreano dimostra il potere di ricatto dell’atomica; il bottone di Kim Jong-un sarà piccolo ma lo mette in una posizione di forza sul piano diplomatico. A PyeongChang la «sorellina» Kim Yo-jong ha eclissato il vice presidente Mike Pence, mettendo in sordina la brutalità del regime. Un Iran nucleare, seguito inevitabilmente da altri Paesi dell’area, sarebbe un incubo europeo. La Corea del Nord è lontana; il Medio Oriente no.
Donald Trump ha già denunciato il Jcpoa. Per silurarlo definitivamente basta che il Congresso reintroduca le sanzioni. Finora non l’ha fatto. Fino a maggio l’accordo rimane appeso a un filo. Cosa possono fare gli europei?
Il Jcpoa non resisterebbe alle sanzioni americane. Da soli, gli europei non sono in grado di tenerlo in vita per due motivi. L’interesse di Teheran all’accordo è legato alla partecipazione di Washington, anche come contro-assicurazione. Secondo, esposte al rischio di «sanzioni secondarie» americane, contro chi fa affari in Iran, le imprese europee sarebbero riluttanti ad affacciarvisi; le transazioni finanziarie sarebbero facilmente paralizzate dal Tesoro americano.
Agli europei non resta quindi che operare sui due fronti, e di sponda con la Russia che ha nel Jcpoa anche forti interessi economici. Trump è imperscrutabile, ma secondo il Senato americano, una buona fascia repubblicana compresa, ha le chiavi delle sanzioni e non vuole abolire l’accordo. Secondo un recente rapporto dell’European Leadership Network di Londra, vuole però «aggiustarlo». I punti critici sono tre: programma missilistico; ispezioni più incisive e a sorpresa; un meccanismo automatico di pressione che estenda la durata dell’accordo oltre i dieci anni. Tutte anche nell’interesse europeo: col Jpcoa Barack Obama ha assicurato un utile «time out», ma la partita continua.
L’Iran rifiuta categoricamente di rinegoziare l’accordo. Ma le vie della diplomazia sono infinite. Questa è stretta, ma nulla impedisce di cercare un’intesa con Teheran su questi punti, al di fuori del Jcpoa. Gli europei potrebbero muoversi in questa direzione. Questo esclude, di fatto, che Bruxelles prenda l’iniziativa. L’Ue in quanto tale è strettamente associata al Jcpoa, anche per il prodigarsi di Federica Mogherini. Da sole le capitali hanno più flessibilità. Parigi e Londra se la stanno già prendendo; aspettiamoci che si unisca presto Berlino, appena varato il nuovo governo.
Il formato a tre non è nuovo. Nel caso dell’Iran può vantare il successo. L’uscita del Regno Unito dall’Ue non lo intaccherà – anzi. È una nota dolente e una sfida aperta, talvolta vinta, talvolta persa, per la politica estera italiana. Auguriamo comunque buona fortuna a quanti, due, tre, quattro, s’impegneranno in questo acrobatico esercizio fra Teheran, Washington e Mosca. Facciamo il tifo perché la posta in gioco è troppo alta per tutti.