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 2018  febbraio 13 Martedì calendario

I grillini che non restituiscono i soldi al partito. Sono una decina, manca un milione

L’ultimo guaio dei cinque stelle è la questione della cosiddetta restituzione dei denari incassati come indennità parlamentare di base oppure come rimborso spese. Qualcuno di loro ha fatto il furbo e s’è tenuto i soldi, la cosa è venuta fuori e i giornali si sono messi a scrivere.  

Così una bella azione s’è trasformata in qualcos’altro.
L’altra sera, da Fazio, Di Battista ha ricordato di aver restituito al partito, nel corso di questi cinque anni, più o meno 250 mila euro, versati poi in un fondo per aiutare le imprese. Ieri, mentre questo strano scandalo montava sui siti - specie sui siti nemici dei grillini - Di Maio ha detto: «La notizia, in un Paese normale, è che il Movimento 5 Stelle ha restituito 23,1 milioni di euro di stipendi. Quei soldi hanno fatto partire 7mila imprese e 14mila lavoratori. Non sarà qualche mela marcia a inficiare questa iniziativa che facciamo solo noi e, come sanno gli italiani, da noi le mele marce si puniscono sempre». Secondo me, ha ragione e non so in che modo gli avversari politici possono sfruttare questa cosa. D’altra parte anche il Pd si fa dare 1.500 euro al mese dai suoi parlamentari e la sua lista dei morosi comincia addirittura con Pietro Grasso. Berlusconi, poi, per non correre rischi, vuole che chi si candida con Forza Italia versi in anticipo almeno 30.000 euro nelle casse del partito. I conti di Forza Italia, infatti, sono abbastanza dissestati.  

Stiamo sulla faccenda dei grillini.
Al ministero dello Sviluppo economico (Mise), che tiene i conti, risultano versati dai parlamentari del M5s 23 milioni di euro. Fanno parte di questa somma anche i versamenti dei consiglieri regionali di Liguria, Veneto, Emilia e Trentino, pari a 529 mila euro, quelli degli europarlamentari (600 mila), quelli dei deputati pentastellati passati al gruppo misto. Tenuto conto di questi numeri, manca all’appello circa un milione. Qualcuno dice di aver versato e non è vero, oppure qualcuno non ha versato proprio, fidando nel fatto che i contabili del partito, se esistono, non se ne sarebbero accorti.  

Se ne sono accorti?
No, la cosa è venuta fuori per un servizio delle Iene
non ancora andato in onda, ma anticipato sul sito della trasmissione. Un ex grillino ha raccontato alle Iene, restando anonimo, che almeno una decina di parlamentari hanno presentato rendiconti falsi. I nomi di due sono venuti fuori, pare, con sicurezza: Andrea Cecconi e Carlo Martelli. I nomi di altri due sembrano assai probabili: Barbara Lezzi e Maurizio Bucarella. Fa sensazione soprattutto il nome della Lezzi, spesso madrina di iniziative dei cinquestelle sui temi economici. I nomi di altri dovrebbero uscire fuori in seguito. I vertici del M5s hanno già fatto sapere di aver chiesto le carte al Mise e che gli accusati saranno tutti deferiti ai probiviri. I sospettati per ora non hanno ammesso niente.  

Com’è esattamente la storia della rendicontazione?
Nel 2013, in vista dell’elezione, Grillo pretese una firma dai suoi parlamentari, con la quale ci si impegnava a tenere solo metà dell’indennità base, quindi cinquemila euro lordi, di non incassare l’assegno di fine mandato e di rendicontare il resto delle spese, per cui i pentastellati si facevano rimborsare mediamente sugli 8.400 euro al mese. La maggior parte dei parlamentari grillini avrebbe voluto che la rendicontazione fosse volontaria, ma il comico non sentì ragioni. Nel luglio di quell’anno fu poi organizzato un restitution day
in piazza Montecitorio, per celebrare il primo milione e mezzo restituito, con sventolio di un finto assegno gigante e parole d’ordine molto efficaci, «come mai nessuno ci emula?», «si può fare politica senza sfarzi», ecc.  

Nel Pd invece?
Il tesoriere del partito, Franco Bonifazi, spulciando i nomi dei tanti morosi, scoprì che il presidente del Senato Pietro Grasso non aveva mai versato i 1.500 euro al mese dovuti, secondo gli impegni presi in precedenza, dagli eletti del partito. Gli arretrati erano a quel punto di 83.250 euro, e Bonifazi li pretendeva sull’unghia. Grasso rispose con una lettera sprezzante, in cui si diceva, in pratica: come mai mi chiedi questi soldi solo adesso, è chiaro che si tratta di una speculazione politica provocata dal fatto che ho lasciato il partito. Il Pd ha un rosso di nove milioni e tra quelli che non hanno pagato c’è anche Ugo Sposetti, l’uomo che ha in mano tutto il patrimonio immobiliare dell’ex Pci. Bonifazi rispose a sua volta a Grasso con una lettera sferzante: «Tu hai deciso di non rispettare il tetto dei 240.000 euro, tu hai deciso di non rispettare le regole del partito che ti ha eletto e che tu stesso hai accetttato nel momento della candidatura... Tu hai l’obbligo statutario di pagare, non io quello di intimarti il pagamento. Tu devi al Pd 83.250 euro a prescindere dalla tempistica o dalla costanza del mio sollecito».  

E Berlusconi che chiede 30.000 euro?
Nel 2013 erano stati invitati a versare 25 mila euro i capilista e i candidati di Forza Italia a cui era stato assegnato un collegio sicuro. Adesso bisogna pagare solo per correre, e il partito si sarebbe però impegnato a restituire i soldi ai non eletti. Il problema è che un po’ tutto il centrodestra è in bolletta e Berlusconi, nonostante le sue ricchezze, non può per legge contribuire alle spese della campagna elettorale con una donazione superiore ai centomila euro. I partiti non hanno soldi in genere. E infatti per la prima volta si vedono tanti muri, preparati per accogliere la propaganda elettorale, rimasti desolatamente vuoti.