Libero, 10 febbraio 2018
Il Nobel per la Pace italiano che si esaltava per la guerra
L’unico Nobel per la Pace italiano è Ernesto Teodoro Moneta. La sua vita abbraccia le vicende del Risorgimento, dall’inizio alla fine. Nel 1848, appena quindicenne, Moneta è un rivoluzionario della prima ora: nelle Cinque Giornate di Milano tira i mattoni alle truppe biancovestite austriache. Da mazziniano, il giovane Moneta diventa prima compagno d’armi di Garibaldi e dopo un soldato del Regno d’Italia. Il 10 dicembre 1907 questo militare ottiene il Nobel per la Pace.
Nel 2007, con il centenario del Nobel per la pace, Moneta fu ricordato da chi scrive in un lungo saggio per gli Annali di Storia Moderna dell’Università Cattolica: L’altro Tolstoj e la sua difficile corrispondenza con Moneta. Due lettere inedite di Lev Nikolaevic Tolstoj a Ernesto Teodoro Moneta. La Nuova Antologia lo ricordò con Arturo Colombo, Vita in tre tempi di Teodoro Moneta. A Milano, la Società
del Giardino organizzò una mostra fotografica e una tavola rotonda, su Moneta e la rivoluzione giornalistica che Il Secolo rappresentò per il mondo dell’informazione nella prima generazione dell’Italia unitaria. Nel 2013 Moneta è stato omaggiato da un volume della storica Francesca Canale Cama, La pace dei liberi e dei forti. La rete di pace di Ernesto Teodoro Moneta, edito da Bononia University Press.
Ora, la Fondazione Anna Kuliscioff a cento anni dalla morte (avvenuta a Milano il 10 febbraio 1918) ripropone gli scritti di Moneta pubblicati sui vari Almanacchi della Pace che dal 1889 puntualmente uscivano alla vigilia del nuovo anno. Sono testi rari, arricchiti da splendide copertine, che lo studioso può oggi ammirare nella Biblioteca della Fondazione Anna Kuliscioff. Sono un documento prezioso per il bibliofilo, per la rilevanza dell’autore e per le illustrazioni liberty, davvero eccezionali. Il volume, Ernesto Teodoro Moneta. Un pacifista nella guerra, edito dalla Fondazione Anna Kuliscioff, è parte della collana Figure del Novecento. Introdotto dal presidente della Fondazione, Walter Galbusera, raduna gli scritti di Moneta dal 1890 al 1918.
Da Ai padri ed alle madri di famiglia, del 1890, a I cattolici e la guerra, del 1918, il volume della Fondazione Anna Kuliscioff ripercorre con Moneta la storia del pacifismo italiano fin de siècle. Una vicenda fatta da tanti pacifisti condizionati come Moneta che poi si trasformarono in interventisti all’alba del Novecento. Fu una minoranza ad abbracciare un pacifismo spirituale e nonviolento. Uomini come Luigi Luè, Giovanni Galiardi e Giovanni Pioli, che scelsero il pensiero di Tolstoj come guida, sono un’eccezione nel panorama italiano. Alcuni esponenti del modernismo aderirono alle idee di Tolstoj. Giovanni Semeria e Salvatore Minocchi, ad esempio, andarono a Jasnaja Poljana.
DISARMO E ARBITRATO
Moneta, comunque, è una delle personalità più rappresentative del pacifismo italiano (la sua rivista La Vita internazionale, raccolse, tra gli altri, i contributi di Romain Rolland e Gaetano Salvemini). Vinse il Nobel, nel 1907, per la sua attività nel promuovere la pace attraverso il disarmo e l’arbitrato internazionale. Alcuni anni dopo, però, fu favorevole all’intervento italiano in Libia e poi alla guerra contro gli imperi centrali. La vita di Moneta è di grandissimo interesse. L’agitatore del Risorgimento divenne l’infaticabile propugnatore del movimento pacifista, creando una rete inedita tra i pacifisti sparsi nel mondo, riuscendo a garantire in Europa un lungo periodo di pace. Dal 1867 fino al 1895, Moneta fu direttore del giornale Il Secolo. Nel 1887 fondò L’Unione lombarda per la pace e l’arbitrato internazionale e nel 1891 la Società per la pace e la Giustizia internazionale. Nel 1898 creò la rivista La Vita Internazionale.
Moneta ebbe una delle corrispondenze più prestigiose della sua epoca. Da notare le sue lettere ai più grandi intellettuali e politici europei, da Vilfredo Pareto al conte Lev Tolstoj, da Edmondo De Amicis alla baronessa Bertha von Suttner.
Per Moneta, nato il 20 settembre 1833, nella Milano dell’incivilimento di Gian Domenico Romagnosi, le iniziative politiche dovevano prima di tutto rispondere a un imperativo etico. Dall’analisi rigorosamente storica, Moneta appare oggi con tutte le sue contraddizioni. Lo studioso si interroga sulla sua vita, sulle sue scelte. Continuava ad aver senso, ad esempio, dopo la sanguinosa guerra franco-prussiana e soprattutto all’indomani della guerra russo-giapponese, in decenni di profonde e sconvolgenti trasformazioni materiali e culturali, la lettura di Moneta? La sua era una visione della realtà che riproduceva i canoni interpretativi di un Ottocento ormai definitivamente tramontato.
CONTRO GLI OTTOMANI
In Moneta ravvisiamo un’ostinata volontà di continuare a perseguire le immutabili mete della sua giovinezza, senza misurarle con le novità dei tempi. L’italiano, dopo il Nobel, fece inorridire i pacifisti per il suo atteggiamento a favore della guerra nel 1911, per l’onore e l’interesse dell’Italia, contro l’Impero Ottomano. Moneta deluse nuovamente i pacifisti nella Grande Guerra; per lui, il 1915 era l’inizio della Quarta guerra del Risorgimento: «Non mi stranio, non mi apparto». Il Nobel per la Pace italiano morì nel momento in cui l’azione del presidente americano Wilson, promotore di una Società delle Nazioni, dava forza all’idea di una guerra in qualche modo definitiva, atroce ma necessaria per chiudere la lunga stagione di conflitti tra i popoli, epilogo romantico di un futuro armonioso, nel sovvenire del sogno ottocentesco, finalmente realizzato.