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 2018  febbraio 11 Domenica calendario

La foiba nascosta per 60 anni. Nelle foto l’orrore partigiano

Un cranio spunta dal fango accanto ad un altro teschio. Il primo ha un foro di proiettile, che fa capire subito l’orrore dell’esecuzione. Altre fotografie, mai pubblicate prima, mostrano le ossa sparse nella fossa comune lunga 32 metri. Le immagini sono state scattate nel 2002 dal generale Pasquale Maldera, che era addetto militare all’ambasciata italiana di Lubiana. La tomba nel fango rimasta nascosta per quasi 60 anni conteneva i resti di 57 italiani e 15 tedeschi. In gran parte soldati, che si sono arresi ai partigiani di Tito e sono stati trucidati a guerra finita, come il sottotenente dei bersaglieri Giovannino Mastinu ed un altro ufficiale dello stesso reparto, Carmelo Principato. Non si può escludere che ci fosse anche qualche civile deportato da Gorizia e rinchiuso nella vicina Aidussina.
La fossa comune è stata scoperta in un campo arato di Ustje a soli 25 chilometri dal capoluogo isontino, dove il IX corpus di Tito ha portato via e fatto sparire per sempre oltre 600 italiani compresi membri del Comitato di liberazione nazionale poco inclini ad assoggettarsi a Tito.
«Come italiano mi sono vergognato di conoscere poco la tragica pagina di storia delle foibe e l’esodo – spiega al Giornale l’ex generale Maldera – Per questo la riesumazione dei corpi ad Ustje mi ha segnato. Ed oggi penso che sia giusto pubblicare queste foto per non dimenticare». In alcuni scatti si vedono i bossoli delle pistole, che hanno sparato alla nuca dei prigionieri. E dal fango sono spuntati i resti del filo dei telefoni da campo utilizzati per legare i polsi delle vittime dietro la schiena.
La fossa era profonda meno di due metri, larga il doppio e gli scheletri allineati, gli uni sugli altri. Nel 2002 il governo sloveno con grande spirito di collaborazione in vista dell’ingresso nell’Unione europea ha riesumato quello che restava dei corpi collaborando con Onor caduti del ministero della Difesa italiano. Le ossa degli italiani sono state traslate nel sacrario di Cargnacco in Friuli-Venezia Giulia.
Ufficialmente nessuno è stato identificato, ma Giancarlo Mastinu è certo che una delle vittime dell’esecuzione fosse suo zio Giovannino, sardo doc ed ufficiale dei bersaglieri. Nel 2014 il nipote ha ricevuto al Quirinale con il presidente Giorgio Napolitano la medaglia del 10 febbraio, giorno del ricordo delle foibe e dell’esodo per il sottotenente Giovannino Mastinu. Nel 1943 si consegnò ai tedeschi per timore di rappresaglie sui familiari «accettando di combattere, ma solo sul fronte nord orientale dove operavano le forze di Tito e non contro i partigiani italiani» sottolinea il nipote. «Grazie alle testimonianze dei reduci sopravvissuti sono riuscito a ricostruire la triste fine di mio zio» spiega Mastinu a il Giornale. La «colpa» dell’ufficiale italiano era di servire nel battaglione dei bersaglieri Mussolini dell’8º reggimento. Il primo battaglione composto da 600 uomini alla fine della guerra difendeva la linea dell’Isonzo. Il suo reparto voleva raggiungere la brigata partigiana Osoppo, anti titina e consegnarsi agli alleati. I partigiani sloveni del IX Corpus ed italiani che avevano aderito alla causa di Tito circondarono i bersaglieri convincendoli ad arrendersi. «La guerra è finita, inutile spargere altro sangue – dicevano – Vi garantiamo l’onore delle armi e chi non è ufficiale può tornare a casa». Promesse mai mantenute. Una volta deposte le armi iniziò il calvario della marcia della morte verso il lager sloveno di Borovnica. Alla colonna si unirono centinaia di altri prigionieri e pure civili italiani rastrellati dai titini. Chi non ce la faceva veniva ucciso sul posto. «Mio zio con il sottotenente Principato ed altri bersaglieri tentarono la fuga- spiega Mastinu – Li misero a morte assieme ad altri deportati nella fossa comune di Ustje». L’esecuzione avvenne il 20 maggio, un mese dopo la fine della guerra in Italia. Fra i «giustiziati», secondo i ricordi dei sopravvissuti, ci sarebbero anche il caporal maggiore Giorgio Gamberale ed i bersaglieri Vittorio e Alfredo Galli. Gli altri italiani potrebbero essere sia militari che civili.
Non fu l’unico crimine di guerra nei campi ad 800 metri dall’autostrada da Gorizia a Lubiana. Gli anziani del posto raccontano ancora che fra il maggio e giungo 1945, di notte sentivano i colpi secchi di pistola alla nuca. Almeno un centinaio di prigionieri dei titini venne sepolto in zona, ma altre fonti parlano di 400 esecuzioni.