la Repubblica, 10 febbraio 2018
Soros, il filantropo che viene accusato di ogni complotto
MILANO «È il capo di un complotto di rettiliani», insinua ( su Facebook) Yair Netanyahu, figlio del premier israeliano. È il burattinaio dello Ius soli, «se vuol portarci all’estinzione venga qui e si candidi», dice Simone Di Stefano vicepresidente di CasaPound. «Sta cospirando in segreto» – sparano i tabloid inglesi – per cancellare la Brexit». E nel frattempo incita alla rivolta gli israeliani contro le espulsioni forzate di 20mila migranti africani («finanzia le proteste», sostiene Netanyahu padre), trama per condizionare le elezioni ungheresi ( «vuole pagare 28mila euro a ogni extra-comunitario», accusa il premier Viktor Orban) e manovra sulle nomine dei procuratori distrettuali in Pennsylvania.
Altro che Benjamin Malaussène, il capro espiatorio dei libri di Daniel Pennac. Il mondo – specie quello che ruota attorno a populisti e governi autoritari – ha trovato il nuovo colpevole di tutti i mali del pianeta. La sua età, 87 anni, non è un problema. George Soros, finanziere ungherese nazionalizzato americano, ha l’identikit perfetto per il ruolo: è il 29esimo uomo più ricco della terra, è liberal al limite del radical-chic, orgogliosamente internazionalista e – particolare che non guasta tra i teorici della cospirazione – ebreo. Non ha paura delle sue idee: ha iniziato a fare filantropia nel 1979 con le borse di studio ai ragazzi neri in Sud Africa. E da allora ha messo sul piatto 18 miliardi del patrimonio personale per finanziare la Open Society Foundation. Una «superpotenza al servizio della democrazia», per il Washington Post, nata «per aiutare i più deboli», spiega Soros. Un centrale di potere più pericolosa di Trilaterale e Bilderberg – dicono i suoi nemici – che ha pilotato la Rivoluzione delle rose in Georgia e quella arancione in Ucraina, pagato uomini ( 12 euro a testa) e cani ( 7 euro) per contestare le leggi anti- corruzione in Romania (parola della tv filo-governativa di Bucarest), aiutato le ong che difendono i diritti civili degli omosessuali e che favoriscono – oggi è peccato mortale – l’accoglienza e il soccorso in mare dei migranti.
Il venticello della calunnia venato di anti- semitismo contro il finanziere soffia leggero già da anni, cavalcando le speculazioni che hanno affondato lira e sterlina nel ‘ 92 facendogli guadagnare un miliardo in un mese. «Ho fatto il mio lavoro, bastava leggere i giornali per sapere cosa sarebbe successo», ha detto lui, che in fondo ha appena perso un miliardo scommettendo in Borsa contro Trump. Da qualche tempo però il venticello è diventato una tempesta che ha allargato a dismisura l’atlante mondiale della Sorosfobia. Orban – che ha studiato a Oxford grazie a fondi di Soros – ha trasformato le elezioni dell’ 8 aprile in una crociata contro di lui, con tanto di manifesti con il suo faccione sorridente in piazza (“Facciamo in modo di non lasciargli l’ultima risata” recita lo slogan). In tanti, basta farsi un giretto su Twitter e Facebook, la pensano così: c’è Soros dietro la campagna della Bonino, è lui che sponsorizza la legalizzazione della marijuana in Messico, ispira le proteste dei giocatori Nfl contro le violenze della polizia Usa, sobilla gli indipendentisti catalani e lo stragista di Las Vegas.
Tanti nemici, tanto onore. Lui tira dritto per la sua strada. «Trump è un pericolo per il mondo, vuol creare uno stato mafioso – ha detto a Davos – Google e Facebook minacciano la democrazia; Paesi autoritari e big dell’hi- tech possono creare una rete di controlli orwelliana». La mappa della Sorosfobia è destinata ad allargarsi ancora.