la Repubblica, 11 febbraio 2018
L’amaca
Alla puerile scemenza dei “mi piace”, pare che Facebook intenda affiancare una misura uguale e contraria: la puerile scemenza dei “non mi piace”. Se nelle intenzioni è un bilanciamento, nei fatti è un raddoppio.
Pollice in alto e pollice verso come valutazione del mondo e, quel che è peggio, di se stessi e delle altre persone, in quella specie di ossessionante referendum quotidiano sul proprio indice di gradimento che è l’essenza dei social. (Quella vera e propria malattia sociale, ormai epidemica, che è l’ansia, quanto dipende da questo vaglio al tempo stesso inattendibile e crudele?).
Ogni adulto degno di questo nome impara a conoscere la natura sdrucciolevole del giudizio. Tra il peggio (Hitler) e il meglio (ognuno ha il suo) esiste un oceano di complessità nel quale si naviga, di solito, in silenzio, o parlando a bassa voce, per paura di sputare sentenze fuori luogo. Ogni adulto, soprattutto, impara a tenere conto dei giudizi altrui solo quando riconosca, in chi giudica, autorevolezza e conoscenza. “Mi piace” e “non mi piace” suonano come la tiritera di un gioco per bambini piccoli. Tutti i cuccioli di tutte le specie crescono giocando. Ma i grandi? I grandi bambinizzati del terzo millennio, quando la smetteranno di giocare a “mi piace/non mi piace”?