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 2018  febbraio 11 Domenica calendario

«Un gambero per sconfiggere il cancro». L’intervista a Frank Lyko

Invasione? Qui non vedo nessun gambero» sospira spazientito Franz Lyko, responsabile del dipartimento di epigenetica al Centro tedesco di ricerca sul cancro di Heidelberg, fermo nell’acquitrino con i pantaloni arrotolati a mezza gamba.
«Aspetta il buio e vedrai» gli risponde divertito un collega biologo. «Sono animali notturni».
Scese la tenebre, ecco il prodigio degno di Topolino apprendista stregone: migliaia di gamberi escono dai loro nascondigli diurni e invadono il laghetto. Non è questa la stranezza, ma il fatto che quei gamberi – proprio come le scope incantate della Disney – sono un esercito di cloni: tutte femmine capaci di riprodursi a volontà senza mai accoppiarsi con i maschi. Al lago cinque anni fa, Lyko ne raccolse a mani nude oltre 150 in un’ora. E iniziò uno sforzo di sequenziamento del genoma concluso solo oggi con la descrizione, su Nature Ecology and Evolution, di quella che ormai è diventata una specie a sé, diffusa e invasiva in molti Paesi, originata da un unico individuo e preziosa nella ricerca anticancro.
Cosa sappiamo dell’origine di questi gamberi portentosi?
«I primi aneddoti su esemplari capaci di riprodursi senza partner si sono diffusi nella comunità degli acquaristi tedeschi nella seconda metà degli anni 90. Nel 1995, uno di loro comprò a una fiera un gruppo di gamberi americani. Il Dna ci rivela che erano Procambarus fallax, tipici delle paludi della Florida. Tra questi, i genitori del “gambero zero”: la femmina che acquisì alla nascita la capacità di clonarsi.
Quell’acquarista tedesco coltivò la prima colonia di gamberi marmorizzati e la distribuì ai negozi di animali».
Come ci si è accorti che questo crostaceo riusciva a clonarsi?
«Chi mette a scopo decorativo nel suo acquario uno solo di questi gamberi in un anno rischia di trovarsene diverse centinaia. Una cosa davvero fuori dal comune. Gli acquaristi, stupefatti e infastiditi, si sbarazzarono dei nuovi nati gettandoli nello scarico oppure liberandoli in laghi e fiumi. Così è iniziata l’invasione dei cloni. Oggi li troviamo in Germania, Repubblica Ceca, Ungheria, Croazia, Svezia, Giappone e Italia (dove il primo esemplare è stato avvistato nel 2008 nel Canale Maestro della Chiana, in Toscana, ndr), fino al Madagascar».
Il vantaggio della riproduzione sessuata è la variabilità genetica, che rende più adattabili e sani. Quanto può sopravvivere una specie priva di questa variabilità?
«È vero, le specie partenogenetiche mancano di variabilità. Ma il gambero marmorizzato è speciale: ha tre copie per ogni cromosoma, due identiche tra loro e l’altra molto diversa. Quindi ha una sua varietà genetica “intrinseca” che gli dà buone probabilità di sopravvivere a lungo. Del resto troviamo questi gamberi in ambienti molto diversi per altitudine, temperatura, acidità dell’acqua. Pensiamo quindi che le variazioni epigenetiche – ovvero quelle influenze dell’ambiente esterno sugli “interruttori” che attivano o disattivano certi geni, e si possono trasmettere tra le generazioni pur non modificando il Dna suppliscano alla variabilità genetica legata al sesso».
Cosa dà al gambero la capacità di clonarsi?
«Un difetto nei geni per la meiosi, ovvero il processo con cui le cellule sessuali, quando si dividono, dimezzano il numero dei loro cromosomi, in modo che il nuovo individuo erediti metà dei suoi cromosomi da ciascun genitore. Nel gambero marmorizzato quando un ovulo matura, non subisce la meiosi: le copie dei cromosomi nell’ovulo rimangono tre, e a un certo punto l’ovulo si trasforma direttamente in embrione».
Capire a fondo questo animale può aiutare la medicina?
«Qui abbiamo una popolazione globale che si è originata da un solo individuo: è lo stesso processo che si ha nell’evoluzione dei tumori, dove tutto parte da una sola cellula mutata e dai cloni che produce dividendosi. L’evoluzione clonale del cancro è ancora oscura: quando un paziente scopre di avere un tumore, è già troppo tardi per studiare le prime fasi di questa evoluzione clonale, perché si sono già succedute molte generazioni di cellule. Il gambero può darci indicazioni preziose sia su ciò che succede in queste prime fasi, sia sugli adattamenti epigenetici che permettono al cancro di proliferare. Capire come le cellule tumorali interagiscono con l’ambiente e si adattano ad esso può aiutare a combatterlo».