il Giornale, 12 febbraio 2018
Svolta in Arabia Saudita. «La tunica femminile non sia più obbligatoria»
Non c’è più religione neanche in Arabia Saudita. E se lo dicono anche nei caffè e nei suk di Riad, Gedda e Medina, terra di tetragono immobilismo culturale e di verticale radicalismo social religioso, dev’esserci del vero. Nei circoli più ottusamente oltranzisti si parla già di catastrofe (leggi: un filo di liberalizzazione e di libertà per le donne, viste infine come esseri umani) e ci si domanda dove sia il peggio, visto che la catastrofe è già alle viste.
Sentite questa. Un domani le donne potrebbero non essere più costrette a indossare l’abaya, quel mantellone nero che le copre da capo a piedi – guanti neri, per la mani – per evitare che anche una sola ciocca di capelli possa innescare pensieri impuri negli uomini che dovessero rivolgere loro lo sguardo.
Il colpo di spingarda al catafratto monolite sunnita arriva dallo sceicco Abdullah al-Mutlaq, membro del consiglio supremo della dottrina, una delle più alte autorità religiose del Paese. Parlando in tv venerdì, giorno sacro alla preghiera e alle riflessioni religiose, sheickh Abdallah, se ne è uscito con questa stravagante pensata. «Ma se oltre il 90 per cento delle pie donne nel mondo musulmano non indossano l’abaya, perché mai noi dovremmo costringere le nostre donne a nascondersi dietro quella palandrana?» (Ecco, forse il termine usato non è stato quello, ma il senso era inequivoco). E ha concluso, bontà sua: «Ecco, forse non dovremmo più obbligarle».
Un botto di questa portata, sui cieli del più catafratto e immobilista paese islamico, non si era ancora sentito. Anche se qualche scossa sismica, negli ultimi mesi, era venuta incrinando un panorama di certezze che sembrava incrollabile. Merito principalmente del principe della Corona Mohammad bin Sultan e delle sue recenti aperture in vista dell’era post-petrolifera. È del mese scorso il permesso accordato alle donne di assistere a una partita di calcio allo stadio, dove potranno recarsi, volendo, alla guida della loro auto (altro tabù abbattuto quattro mesi fa).
I segnali di apertura verso un Islam «aperto e moderato» si rincorrono. Presto, udite-udite, perché questa sì che è bella- apriranno anche i cinema. Proprio così: i cinema, i multisala – roba volgare e peccaminosa – sono assenti dal panorama saudita. Tutto ciò non vuol dire che le donne possano davvero smetterla di stare a occhi bassi e composte.
Per dire. Chi vuole sposarsi dovrà continuare ad avere il permesso del tutore. Se poi lo sposo è straniero ci vuole il permesso del ministero degli Interni. Mentre di aprire un conto bancario (simbolo di indipendenza economica) non si parla neppure. Lontana anche la prospettiva di avere un processo equo dove la loro testimonianza valga come quella di uomo, e non la metà. O viaggiare da sole.
Insomma, la strada è lunga. Ma essersi liberate da quella corazza nera che le negava al mondo è una svolta epocale. Da celebrare a coppe di spumante (ops, l’alcool è bandito). A tutte le donne saudite, in ogni caso, un forte abbraccio dal resto del mondo.