il Giornale, 12 febbraio 2018
Meno di Zeri
Andare a Mentana a trovare Federico Zeri era un rito. Mi capitò per la prima volta con Mario Lanfranchi, nel 1978. Il luogo era faticoso da raggiungere ma fascinoso. Erme, epigrafi, sculture antiche e barocche stavano all’esterno di questo edificio moderno, costruito per le esigenze del suo bizzarro proprietario da Andrea Busiri Vici, architetto e collezionista d’arte. La Villa rispecchiava potentemente la personalità di Zeri. Gli spazi erano comodi, come la bella e grande biblioteca disegnata dallo studioso che riceveva in quegli ambienti, tra quadri, libri e fotografie, come un oracolo. La morte dissolve molte cose che ci circondano, ma era difficile pensare che quel luogo di pellegrinaggi che io frequentai fino al 1984, conservandone il rimpianto dopo una lunga stagione di liti, sarebbe stato svuotato di ogni cosa bella e anche della memoria per l’aridità e l’ingratitudine di quanti hanno amministrato l’eredità dello studioso. Prima fra tutti, Anna Ottavi Cavina, che, per ambizione e cupidigia, trasferì la Fondazione all’Università di Bologna, smantellando il patrimonio bibliografico e fotografico di Mentana. Poteva la Villa restare sede di corsi di formazione specialistica di storia dell’arte, ma l’attuale direttore della fondazione, Andrea Bacchi, non è stato in grado di impedire l’umiliazione della dismissione, contrastando radicalmente lo spirito dell’eredità. Una vigliaccata alla memoria. Addio Villa, addio oracolo, addio Zeri.