Il Messaggero, 12 febbraio 2018
Un romano su Marte
«Dove siete? Dove siete? Non vi vedo più, rispondete, rispondete...». Accecato dall’improvvisa tempesta di sabbia rossa fra i canyon marziani dei Monti di Tharsis, l’astronauta americano Justin Marshall aveva perso i contatti con i compagni: ogni passo poteva essere fatale. E le sue disperate chiamate alla radio non potevano essere ricevute dal capopattuglia, il romano Cesare Guariniello, ugualmente angosciato dalla mancanza di collegamenti in quel turbine terribile di polvere impalpabile che l’aveva precipitato in piena emergenza, lui che grazie alla laurea alla Sapienza avrebbe dovuto trovarsi in realtà dietro una scrivania della Fiat a Torino. È vero che quella era la simulazione di una missione marziana ambientata nel deserto dello Utah, ma quelli della Mars Society potevano pure avere la mano più leggera con il realismo dell’esplorazione fra quegli strapiombi mica di cartapesta e profondi centinaia di metri.
IL PERICOLO
«Calma, stiamo uniti, in contatto uno con l’altro», ha cercato di spiegare Guariniello a gesti ai barcollanti compagni attorno a lui. Addestramento e sangue freddo, in queste situazioni estreme: niente bussola (tanto lassù non funzionerà) e niente ponte radio con Houston: tra il momento della partenza della chiamata da Marte e quello dell’arrivo della risposta dalla Terra passano almeno 40 minuti. Un’eternità letale in caso di pericolo.
«Sì, quella volta abbiamo avuto veramente paura racconta l’ingegnere astronautico e geologo della Sapienza, 36 anni abbiamo vissuto, prima ancora che capito, che cosa vuol dire trovarsi così isolati e disorientati lontano dalla Terra. Alla fine Justin l’abbiamo recuperato prima che volasse in un burrone, ma ugualmente il rientro alla base, privi della possibilità di comunicare, è stato molto complicato. E in effetti queste simulazioni così realistiche servono anche alla Nasa per testare la nostra tenuta psicologica».
Un romano del liceo Tasso su Marte, Cesare Guariniello, laurea in Ingegneria aeronautica alla Sapienza e una rapida chiamata alla Fiat a Torino per un posto da ingegnere meccanico a cui, tenendo sulle spine i genitori, non rispose. Colpa dell’astronauta Umberto Guidoni, incontrato a 15 anni. Una folgorazione. Niente treno per Torino, ma l’aereo per gli Usa dopo che la domanda per una borsa di studio da ricercatore alla Purdue University, nell’Indiana, era stata accolta: i 30mila e inarrivabili dollari annui di retta diventati solo mille, più lo stipendio per vivere bene nella deliziosa West Lafayette.
Purdue University? Da Neil Armstrong in poi vi ha studiato il maggior numero di protagonisti dell’epopea della Nasa. Ventimila studenti, una ventina, mediamente, gli italiani, accolti con tutti gli onori «perché la preparazione scolastica e universitaria italiana nel settore aerospaziale viene ritenuta eccellente – dice orgoglioso Guariniello – Non chiamateci però cervelli in fuga perché, almeno per ciò che mi riguarda, oltre all’affetto, mantengo un’alta considerazione per l’Italia».
ULTIME FRONTIERE
In fuga no, ma almeno in esplorazione: Guariniello ha curato in questi anni alla Purdue progetti di strutture complesse (astronavi o stazioni spaziali) che come meta hanno la Luna, Marte o la creazione dello Deep Space Gateway (il cancello o passaggio per lo spazio profondo), che solo a dirlo si pensa subito a Bradbury e Clarke: è la stazione cislunare, trampolino per missioni lunari o marziane che si piazzerà a 500mila chilometri dalla Terra. L’attuale Iss prossima a riaccogliere Luca Parmitano sfreccia in orbita ad appena 400 chilometri d’altezza, mentre la sonda Exomars made in Italy di Esa e Asi ha viaggiato per 143 milioni di chilometri per raggiungere l’orbita di Marte.
Guariniello, amante della scherma e del pilotaggio di aerei, fisico standard, vede queste frontiere ancora più vicine per l’umanità: pochi anni per la Luna, 20 o 30 per Marte. Più vicine anche dopo che è stato scelto per questa missione: «Per programmare le missioni reali serve una mole enorme di sperimentazioni e questa struttura è affiancata da una decina di altre allestite anche alla Hawaii o nell’Artico, in attesa di quelle gigantesche progettate da Emirati Arabi e Cina con un occhio anche al turismo».
A Guariniello, che ora vanta un ulteriore titolo per i prossimi concorsi per astronauti della Nasa, dal 30 dicembre 2017 al 14 gennaio è toccata una delle missioni più dure, con passeggiate nel deserto dello Utah fino a 18 chilometri al giorno con tuta e pesante attrezzatura per respirare. «Ingombri sulla schiena identici a quelli delle tute per le passeggiate spaziali. Già, è stato tutto di un realismo estremo. È stato tutto simulato con grande fedeltà. E senza ciak tra una ripresa e l’altra come per il buon film The Martian con Matt Damon».
Ingegneri, geologi ma anche ortolani. «Con amore e attenzione abbiamo curato anche la serra interna: mezzo chilo di lattuga il nostro raccolto, e ne siamo molto fieri. Ho avuto la fortuna di fare parte di un equipaggio di sette aspiranti astronauti, tutti della mia università, molto in sintonia fra loro, il che sarà fondamentale per le lunghe missioni nello spazio: nessuno sconto sui severi protocolli, compresi quelli sul razionamento dell’acqua e sulle scorte di ossigeno durante le esplorazioni sul terreno. Mentre si arranca sulla sabbia si guarda sempre quel timer che indica quanto tempo manca all’asfissia. E si ha una paura fottuta di bucare la tuta».
Duri e puri verso Marte. Ma immaginate a chi è stato affidato, in quel team di americani, canadesi e indiani, il cenone di San Salvestro? Guariniello, tra razioni liofilizzate e salse disidratate ha compiuto il fantascientifico miracolo della pasta al forno. «Beh, diciamo simile alla pasta al forno, ma quella notte lassù su Marte non ne è rimasta nemmeno una forchettata».
Paolo Ricci Bitti