la Repubblica, 12 febbraio 2018
Lamela, Pochettino e le radici argentine del Tottenham
BUENOS AIRES «Torno a casa a lavorare la terra prima che allenare Arsenal o Barça». Da manager del Tottenham ed ex capitano dell’Espanyol, Mauricio Pochettino sa da dove viene e dove non andrà. Lontano da social e microfoni, Lo Sceriffo, uno dei più espulsi nella storia della Liga, era sbarcato Oltremanica come il simbolo della Waterloo argentina al Mondiale 2002: sgambetto su tuffo di Owen, fischio di Collina e rigore di Beckham che affonda l’armata di Bielsa.
Cresciuto tra pallone e trattore nei campi di Murphy, 4000 anime a un’ora da Rosario, oggi vive tra la quiete di Barnet, nord di Londra, e il verde di Enfield, la sede Spurs dove il primogenito Sebastiano è preparatore atletico e il minore Maurizio (con z) segue le orme paterne. Metà nazionale inglese viene dalle sue panchine: Clyne, Lallana, Chambers, Dier e Dele Alli ripetono quel «soffrire in settimana per non soffrire la domenica» nato nel Newell’s di Bielsa e riassunto da Osvaldo con «lavori come un cane, ma poi serve».
Il motivatore di Eric Lamela e Harry Kane ha da poco chiesto al Southampton Paulo Gazzaniga, portiere di Murphy classe ’92, e all’Estudiantes di La Plata il difensore Juan Foyth, classe ’98.
«È la fiducia che lui stesso ha ricevuto da pibe, debuttando in prima squadra a 16 anni». Jorge Griffa e il loco Bielsa lo avevano soffiato al Rosario Central in una notte d’inverno, una scena che lo Sceriffo di Tottenham ripeterà tempo dopo, al momento di riprendere il talento ribelle Luke Shaw. «La madre ce lo mostrò mentre dormiva, 14 anni e un fisico da elefante. Bielsa non si fidava a schierarlo titolare perchè gordito. Gli dissi che gli uomini giusti li avevamo in casa». Nel ‘90 la ruvida coppia Pochettino-Gamboa, 34 anni in due, era la muraglia del Newell’s, club che forma anche Berizzo, Tata Martino e Darío Franco, padrino di Dybala: «Un’educazione continua che chiusa la carriera ci ha portato ad allenare, ognuno con il suo stile».
Battistrada della nuova generazione di allenatori argentini in Europa, sarà il primo a dirigere in Premier dopo la parentesi di Osvaldo Ardiles nell’87, proprio nel Tottenham.
Ossie, come lo chiamano sul Tamigi, arrivò nell’agosto 1978 con Julio Ricardo Villa, vice-Kempes nella Selección di Menotti: «Siamo stati dei pionieri. Non sapevamo nulla del club, volevamo l’ Europa.
Sembravamo due scimmie, comunicavamo a gesti senza capire una parola, ci accolsero con ironia e rispetto sconosciuti». Il volto barbuto di Villa apparve sulle t-shirts camuffato da Che Guevara. Per un 10 classico come lui l’inserimento non fu semplice: «Ardiles correva sempre, io ero più pigro. Giocavamo palla a terra, insolito nell’Inghilterra di allora».
Suo “il gol del XX secolo” segnato a Wembley, nella finale di FA Cup ’81, portando a spasso l’intera difesa del City. Avvolti nella bandiera albiceleste, Ricky&Ossie alzarono la coppa nello stadio dei leoni come 30 anni dopo Tevez e Zabaleta per i Citizens.
«Prendetevi le Falklands, noi ci teniamo Ardiles»: nell’aprile 1982 la curva degli Spurs abbracciò i suoi dimenticando le Malvinas.
«Fair play. Vivevamo in un paese in guerra con il nostro, eppure se gli avversari ci fischiavano sentivamo il coro: Argentina!
Argentina! Incredibile». Scosso dalla morte del cugino aviatore, abbattuto alla vigilia di Spagna ’82, Ardiles tenterà la sorte a Parigi prima di fermarsi a Londra, dove ogni anno, ambasciatore Lilywhite, si riunisce con Villa e dal 2014, con Pochettino. Per Ossie persino Maradona vestirà la maglia del Tottenham, in amichevole con l’Inter di Fanna e Brady: era il maggio 1986, e a White Hart Lane la ricordano ancora come l’unica notte in cui Diego giocò per gli inglesi.