la Repubblica, 12 febbraio 2018
Nella stanza della rabbia: «Sfascia tutto starai meglio»
Parigi Il ragazzo è terreo. Con una smorfia di sfida ibernata sulla faccia, si strofina le mani esili, coperte di vesciche. Indossa una tuta da lavoro bianca, spalle e petto coperti da un giubbotto di plastica nera. Adesso, senza più il casco, sembra uno dei cattivi di “Arancia meccanica”. Potrebbe mettersi, come i drughi, una bombetta in testa. In fondo ha appena mandato in frantumi una stanza intera. Posa la mazza da baseball e va a cambiarsi. Dice che la “Fury room” gli ha fatto bene. A cosa, non è dato sapere. Senza più voglia di rispondere alle domande, il ragazzo esce sulla rue Blondel, una piccola traversa dei Grands Boulevards, una delle ultime strade di prostituzione all’aperto di Parigi.
David Lafranque e Diego Duperier, neanche 60 anni in due, hanno aperto la prima “Fury room” francese, la stanza della rabbia, proprio davanti a quello che, in funzione dalla fine dell’ 800, sontuosamente ridecorato negli anni 20 e chiuso come tutti nel ‘ 46, fu uno dei primi bordelli di Parigi: “Aux belles poules”, alle belle pollastre, frequentato anche da Henry Miller e Anais Nin, oggi monumento di interesse storico.
Arrivano due biondine. Una è in jeans, l’altra è tutta in nero, gonna corta, stiletto 12, molto rossetto. Si vestono da drughe, fanno una serie di selfie, entrano ridendo nella stanza a livello strada – il ragazzo era di sotto, in quella che doveva essere la cantina del locale – e iniziano a dare mazzate contro stoviglie, bottiglie di vetro, piccoli mobili, schermi televisivi o di computer. Il frastuono è inquietante. Il rumore della rabbia. «Nel prossimo locale dovremo pensare a una migliore insonorizzazione» dice David Lafranque, che preferirebbe parlare della sua altra vita oltre la “Fury Room”, cioè del nobile tentativo, come imprenditore, di far arrivare i prodotti della campagna dai contadini ai ristoranti senza passare per i mercati generali. Ma carote qui non ce ne sono. E al posto di vanghe e rastrelli, appesi a un muro, pronti alla scelta, sono la mazza da baseball, un martellone dal lungo manico e un piede di porco. «Abbiamo aperto la Fury Room alla fine di settembre con un investimento di 15mila euro. Adesso stiamo vendendo il marchio in molte altre città. Non ci aspettavamo un tale successo, tanto che siamo costretti a cercare uno spazio più grande, come un hangar, e al più presto» dice David Lafranque. E mostra sul telefonino le mail che riceve quotidianamente.
Un signore da Nizza gli scrive: «Ho un negozio livello strada di 150 metri quadrati. Vorrei trasformarlo in Fury Room». «Tra poco apriranno le stanze della rabbia di Bordeaux, Marsiglia, Lione, Rouen, Nantes, Clermont- Ferrand. E anche Beirut, Casablanca e Chicago. Tutte con il nostro marchio, non è un franchising, è una licenza con royalties versate a noi tutti i mesi».
Nel frattempo le due biondine – per 75 euro, una decina di minuti, formula Chaos – hanno finito di fare quello che è meglio non facciano in casa loro. Un giovanotto barbuto e sempre silenzioso, alto un paio di metri, raccoglie i cocci, li getta in grandi pattumiere interne ( saranno tutti riciclati a pagamento) e crea un nuovo arredamento per i clienti successivi. Le biondine si cambiano ed escono cinguettando. Per loro è stato un “regalo tra amiche”. «Le donne sono l’ 80 per cento dei nostri clienti» dice David Lafranque. «E qui la violenza è sempre divertita. Roba tra amici. Non abbiamo pazzi o casi clinici». «Anche perché non accettiamo persone sotto l’effetto di alcol e droghe» dice Aurélie Bezard, una ragazza tosta che da sola smista i “casseur” all’entrata.
Non siete in contatto con psicologi? Nessuno vi ha mai prenotato un turno terapeutico? «Qualche genitore di adolescente inquieto ci ha esposto il suo problema. Ma non vogliamo sapere perché un nostro cliente abbia bisogno di questo tipo di sfogo. Ciascuno ha le sue ragioni, che a noi non interessano» dice Lafranque.
A parte la Francia, ci sono Fury Room in Russia, in Australia (dove si ritiene che il fenomeno sia nato), in Serbia, in Slovenia, in Finlandia, in Grecia, in Giappone, in Canada, negli Stati Uniti. A Londra si spacca tutto una volta ogni tanto in appositi eventi indetti dallo “Scrapclub”. In Italia c’era una stanza della rabbia in provincia di Forlì, aperta nel 2013, ma ha chiuso e adesso il proprietario spera di vendere il marchio.
Al 23 della rue Blondel entra una coppia di ragazzi. Due amiconi gioviali e pieni di energia. «Attenzione, i più matti sono quelli che non lo sembrano» dice Lafranque.
COSE BUONE PER ANTEPRIMA