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 2018  febbraio 11 Domenica calendario

Carolina Kostner, signora delle lame dalle quattro vite. La «sopravvissuta» ci riprova ancora

PYEONGCHANG Ne me quitte pas, non mi lasciare, si sgola Celine Dion nel gelo polare artico della pista d’allenamento della Gangneung Ice Arena. Prove tecniche di Olimpiade, alle sei di sabato pomeriggio. La musica del programma corto riempie l’aria però Carolina Kostner, annunciata dallo speaker, non c’è. È un momento surreale. Volteggiano la canadese, l’australiana, l’azzurra Giada Russo venuta in Corea a fare esperienza. Nostra signorina delle lame marca visita, serpeggia lo sconcerto: non sta bene? 
Carolina è viva e vegeta e lotta insieme a noi contro le insidie di un’Olimpiade surgelata che fa fatica a decollare, l’enfasi legata alla politica tra Nord e Sud risucchia energia ma nell’occhio del ciclone da oggi (debutto nella notte italiana nella gara a squadre) c’è lei, l’ex bambina di Ortisei che abbiamo visto crescere a tappe, una per ogni Olimpiade. Alice nel paese delle meraviglie a Torino 2006 poco più che maggiorenne, travolta dalla responsabilità di tenere alta la bandiera. Vaso di porcellana in frantumi a Vancouver 2010, quando finì in terra come uno di quei salami che pattinano al palaghiaccio la domenica. Sochi 2014, splendido bronzo della maturità con i programmi della vita: una soave Ave Maria e un travolgente Bolero. Rieccola, 31enne, sulla soglia di Olimpia, sopravvissuta al doping dell’ex fidanzato, alla gogna pubblica di una squalifica per amore, a se stessa. Dice che dopo quindici anni e undici medaglie europee (l’ultima di bronzo a Mosca, tre settimane fa), più tutto il resto, non ha più nulla da dimostrare. «Pattino per il piacere di farlo, per la passione con cui amo il mio sport». Ma la campionessa di razza è qui per vincere, non per disegnare ghirigori a vanvera sulla patinoire. 
L’avvicinamento a Pyeongchang è stato da monaco trappista. Nemmeno un brindisi per il compleanno, venerdì, quando è atterrata a Seul con quattro ore di ritardo. Interviste rimandate (recente, e pessima, abitudine). Contatti ridotti con chiunque: sono tre giorni che si allena alle 7 di mattina per scantonare i giornalisti, mai amati, e per abituarsi ai bioritmi di una competizione, soprattutto quella individuale (12 e 14 febbraio), che a differenza del solito si svolge di mattina: orario imposto dalla Nbc, perché negli Usa la grande bellezza del pattinaggio di figura vada in onda in prime time. Nathan Chen, Yuzuru Hanyu, Patrick Chan, le stelle del maschile sono cadute nel corto del team event, confermando che svegliarsi, lavarsi i denti e scendere sul ghiaccio non è automatico come sembra. 
Nulla va lasciato al caso perché l’atterraggio sul pianeta Olimpiade sia morbido. Carolina, seguita da mamma Patrizia e papà Erwin, si ferma a parlare solo con persone fidate: da un’amica ha accettato tè al limone, orsetti gommosi e la tigre-mascotte di Pyeongchang in regalo. Dopo gli allenamenti si chiude in camera al villaggio, che lascerà per Seul dove preparerà l’assalto alla seconda medaglia olimpica, Zagitova e Medvedeva permettendo. Nel frattempo ha rivisto la scelta dei costumi: va in soffitta (fiuuuuu) il tutone verde pisello del libero all’Europeo, troppo brutto per essere vero e nemmeno fortunato, visto che Carolina nel libero era caduta. La portabandiera di Torino non abita più qui. Se suonate il campanello, oggi, vi apre Carolina Kostner.