Corriere della Sera, 11 febbraio 2018
Abbattuto jet israeliano, crisi nei cieli siriani
GERUSALEMME Tutti in piumino nero, le lenti dei binocoli orientate verso i villaggi siriani giù nella piana, i ministri israeliani si sono riuniti martedì sulle alture del Golan. Una scarpinata di gruppo per osservare il caos dall’altra parte e per avvertire: «Non metteteci alla prova», come ha minacciato il premier Benjamin Netanyahu.
Il test è arrivato cinque giorni dopo, all’alba di ieri ha attraversato in volo il confine sotto forma di un drone che i radar di Tsahal hanno subito individuato, gli occhi dei soldati hanno seguito sugli schermi per un minuto e mezzo e un elicottero ha abbattuto quando ormai era nel cielo sopra la valle di Beit Shean, nel Nord del Paese: volevano scoprire dove andava, non volevano che andasse troppo avanti. La risposta è stata immediata. I jet israeliani hanno colpito e distrutto il centro di controllo mobile da dove il velivolo comandato a distanza era partito. È l’area di Palmira, la città archeologica che nei sette anni di guerra in Siria è stata anche catturata e devastata dai miliziani dello Stato Islamico. Adesso è sotto il controllo del regime di Bashar Assad, le basi nel deserto sono già state bombardate dagli israeliani.
Questa volta le batterie antiaeree siriane riescono a centrare uno degli otto jet che partecipa al raid ed è nello spazio aereo israeliano, i piloti fanno in tempo a schiacciare il pulsante di espulsione automatica prima dello schianto, la televisione mostra i rottami del caccia in fiamme. Uno degli aviatori è grave, l’altro ha ferite lievi. «Per l’aviazione è la prima perdita del genere in trent’anni», specifica l’analista militare Hamos Harel. La raffica siriana è così intensa che per venti minuti viene fermato l’aeroporto Ben Gurion.
Dal quartier generale a Tel Aviv – dove arriva anche Netanyahu per una riunione d’emergenza – lo Stato Maggiore ordina una seconda incursione più devastante, «la maggior operazione dalla guerra in Libano nel 1982» la definisce il colonnello Tomer Bar: vengono colpiti dodici obiettivi alla periferia di Damasco e nel resto della Siria, quattro sarebbero basi controllate dagli iraniani. Che accusano gli israeliani di mentire: «L’abbattimento di un nostro drone è una notizia ridicola – commenta il ministero degli Esteri – è una scusa». In serata jet israeliani avrebbero effettuato nuovi raid aerei nel Paese: colpito anche l’aeroporto di Khalkhar, a circa 100 km a sud di Damasco.
I generali israeliani minacciano «Damasco e Teheran giocano con il fuoco», allo stesso tempo provano a congelare il rischio di guerra, almeno per ora: «Israele non vuole un’escalation». Quello che vuole – come ribadisce Harry Koren, ambasciatore in Russia – è che i consiglieri militari spediti dagli ayatollah e le truppe irregolari del libanese Hezbollah «si ritirino dal Sud della Siria». Lo dice a Mosca perché il presidente Vladimir Putin sembra l’unico che può intervenire per calmare la situazione o alimentare le fiamme. Come scrive Anshel Pfeffer, editorialista del quotidiano israeliano Haaretz : «Il drone iraniano è decollato da una base sotto controllo russo, i soldati siriani addestrati dai russi hanno sparato missili russi. Gli israeliani ormai riconoscono l’egemonia di Mosca dall’altra parte del fronte nord. Gli Stati Uniti non sono mai stati così irrilevanti nella regione».