Corriere della Sera, 10 febbraio 2018
Diesel o Deisel? Il falso d’autore
E pensare che per giorni è stata lì, sotto gli occhi di tutti. E per tutti s’intendono i milioni di follower, di Renzo Rosso. Un post su Instagram dove il signor Diesel festeggiava con la sua squadra del cuore, il Bassano Virtus 55 soccer Team, il pareggio in trasferta con il Pordenone, e addosso aveva «quella» t-shirt con la grande scritta bianca in campo rosso: Deisel. No, nessun errore di battitura, ma un’operazione di comunicazione strepitosa con tanto di collezione e store aperto nel cuore del fake district, in Canal Street a Chinatown, New York.
Per una settimana la gente è entrata in un bugigattolo, stretto fra altri di chincaglierie e copy di ogni genere, è ha acquistato jeans e t shirt e felpe a pochi dollari convinti di comperare una presa in giro di ottima fattura. Salvo poi scoprire che quella beffa è in realtà un falso d’autore e che da oggi gli stessi pezzi saranno in vendita sulla Quinta e in tutto il mondo a un prezzo dieci volte superiore perché i «Deisel» sono in realtà veri e propri Diesel. E a suggerire un business, da adesso, quei fasulli che fasulli non sono potrebbero essere venduti dagli ignari acquirenti nei canali ad hoc al prezzo (vero) di mercato. E sorride Rosso del progetto nato dal suo team di giovani creativi dove lui, un annetto fa, ha deciso di rientrare per occuparsi nuovamente in prima persona della «creatura» (cioè Diesel). «C’è anche un po’ di me, di quello che sono io come persona. Alla quale piace scherzare e ironizzare sulla vita – racconta entusiasta dell’operazione —. Mi piace giocare e prendermi un po’ in giro. E la moda in questo momento ha bisogno di un sorriso perché è tutto troppo business. E poi c’è la gente, là fuori, che va avanti e ogni giorno prova più frustrazione che soddisfazioni. Ecco, vediamola così: l’idea di divertire qualcuno scherzando su di noi mi ha entusiasmato».
La scelta della location è altrettanto incredibile. «Potevano andare sulla Quinta Strada o in Madison, ma perché? Non avrebbe significato nulla. E invece di nascosto ci siamo affittati il negozietto in Canal Street e abbiamo aperto lì, un falso fake nel regno dei fake, con allestimento giusto e commessi addestrati ad accettare di contrattare sul prezzo, come si fa a Chinatown. Tutto è stato poi filmato, alla maniera di candid camera. E in un video racconteremo l’esperienza, anche le facce prima e dopo l’affare!».
In tutto undici capi, la capsule, e poi ever green della griffe ri-etichettati: in tutto un mille pezzi. Una vera limited edition: «È un’altra formula che piace perché ti fa sentire partecipe, esclusivo, di un progetto. Certo potevamo immettere sul mercato un quantitativo industriale, ma non era questo lo scopo: vendere e vendere. Piuttosto, l’idea dell’affezione alla griffe, del giocare anche con il logo non necessariamente per fare cassetta: facile produrre migliaia e migliaia di piccole cose a grandi prezzi. E poi c’è anche il discorso della capacità di capire la qualità di un prodotto a prescindere dal prezzo. Ho visto i volti delle persone che entravano in Canal Street, tutti stupefatti della qualità dei capi. Persino intimoriti».
E poi la bravura di tenere tutto sotto silenzio in un’era in cui è quasi impossibile che non si sappia. «Anche questa è stata una bella sfida, di tutti noi. Anche io, ho dovuto mordermi la lingua per non dire a tutti che la felpa che indossavo in quella foto di Instagram con la squadra era un fake, cioè no, ma sì. “Ma non vedete che c’è scritto Deisel?”, ma mi sono trattenuto, ridendo tanto fra me e me».